Per secoli, Torino si è espansa
all'interno delle mura, fino a raggiungere la caratteristica forma a
mandorla dei tre ampliamenti. Nel XIX secolo, abbattute le mura
difensive, fu costruito una sorta di muro economico, la cosiddetta
cinta daziaria, aperta solo in corrispondenza delle grandi vie di
comunicazione, per permettere il passaggio delle persone e delle
merci, che pagavano il dazio per essere vendute in città. Furono
queste aperture che
cambiarono gli assi dello sviluppo della città e
fecero
dimenticare la caratteristica maglia ortogonale del centro.
In
loro corrispondenza si svilupparono nuovi abitati, che finirono poi
con esserne identificati (Barriera di Milano porta ancora nel nome le
sue origini). "Le principali barriere erano
dodici, ognuna delle
quali si sviluppò seguendo modalità e criteri diversi: per
gemmazione da precedenti nuclei rurali, artigianali e
commerciali (Barriera di Nizza,
Millefonti, Lingotto, Barriera di Milano), a ventaglio,
ridosso dei
varchi della cinta (Borgo San Paolo, Borgo Vittoria, Barriera di
Lanzo, Campidoglio), in zone
più esterne attorno ai piccoli nuclei
rurali "costituiti da una chiesa, un'osteria e qualche opificio
(Regio Parco, Madonna di Campagna)". Solo quest'ultima tipologia
di barriera presentava sin dall'inizio una propria dotazione di
servizi principali, mentre quelle sorte attorno alle principali vie di
comunicazioni, dipendevano per i servizi dai quartieri cittadini
posti all'interno della cinta, mantenendo con essi una "certa
facilità di comunicazione"" si legge nell'articolo
Torino:
sviluppo industriale e barriere operaie ai primi del '900 di
Enrico
Miletto, scritto per l'Istituto piemontese per la storia della
Resistenza e della società contemporanea.
Intorno alle barriere
nacquero anche
le prime industrie che avrebbero poi condizionato lo
sviluppo cittadino: l'uso dell'
energia elettrica, al posto della
forza motrice dell'acqua, permise loro di scegliere dove insediarsi e
ragioni economiche le spinsero fuori città, per non pagare i dazi,
ma sufficientemente vicine, per avere gli evidenti vantaggi
economici. Curioso, come ci fu
una sorta di
"specializzazione" nelle varie barriere: in
Barriera di
Milano arrivarono le grandi fabbriche tessili e metalmeccaniche (e
non troppo lontano, a Regio Parco, la Regia Manifattura Tabacchi
continuava ad attirare soprattutto una manodopera femminile); in
Borgata Ceronda e in Valdocco, nell'area intorno alla Dora, insomma,
stabilimenti tessili e conciari (ma anche il calzaturificio Superga
e, più avanti, l'industria pesante torinese, dalle Officine di
Savigliano alla Michelin e alla Fiat Ferriere); a
Borgo San Paolo,
arrivarono numerosissime industrie, specializzate nella produzione di
veicoli, sia su strada che su binario; in
Barriera di Nizza, la prima
fabbrica della FIAT, in corso Dante, proprio nel cambio di secolo,
tra l'Ottocento e il Novecento.
L'insediamento delle industrie
condizionò pesantemente
lo sviluppo demografico e urbanistico di
queste borgate. Per stare vicino al posto di lavoro, e per
risparmiare sugli affitti e anche sull'acquisto delle merci, che non
pagavano i dazi, migliaia di famiglie di operai presero residenza nei
nuovi quartieri; nel corso di un solo decennio, all'inizio del
secolo, i
torinesi delle barriere erano raddoppiati. "Lo
sviluppo delle barriere portò con sé la creazione di
un paesaggio
urbano molto diverso da quello presente all'interno della cinta.
Infatti si affievolì quel modello abitativo che aveva orientato il
modo di vivere dei torinesi: se fino ad allora
convivevano negli
stessi palazzi persone di diversi strati sociali (ad esempio avevamo
al primo piano la famiglia proprietaria del palazzo, al secondo la
servitù, al terzo gli artigiani e così via), la nascita delle
barriere lasciò il posto ad una
separazione delle classi sociali sul
territorio cittadino. Le barriera assunse così una
connotazione
sociale palesemente operaia, ma non solo: la popolavano sia i nuovi
strati del proletariato industriale, sia altri ceti come gli
artigiani, i commercianti e gli agricoltori".
La vita dei
residenti si svolgeva
quasi esclusivamente nei borghi: lì si
abitava, si lavorava e, nella fitta rete di associazioni nata nel
frattempo, tra parrocchie, bocciofile e circoli vari, si trascorreva
il tempo libero. Se ci pensiamo bene, la vitalità dei nostri
quartieri è nata allora, quando Torino era "lontana" e
ogni borgo aveva
una propria storia e una propria identità. Nelle
barriere c'era un
forte clima di solidarietà, spiega ancora Miletto,
perché gli operai non avevano ancora i servizi sociali che sarebbero
arrivati solo decenni dopo, per cui erano "indispensabili la
costruzione e la gestione di
reti di relazioni, femminili e maschili,
complementari tra loro e in grado di assolvere alle diverse richieste
della famiglia". Le
relazioni degli uomini erano legati ai loro
lavori (spesso più di uno) e al tempo libero, che garantivano scambi
di prodotti e favori conseguenti; le donne si muovevano
in ambienti
domestici e le loro relazioni garantivano scambi come la cura dei
figli, i piccoli prestiti o i piccoli servizi. Un
sistema di solidarietà, sottolinea Miletto che era estraneo alla
vita di Torino città e che "trovava proprio nella vita “da
ballatoio” e di quartiere i punti più alti della sua
espressione".
Torino
non è più quella di allora: le
barriere sono state
inglobate dalla città, nessuno di noi, viva a
Mirafiori, Vallette o Barriera di Milano, direbbe mai "vado a
Torino", ma, piuttosto, "vado in centro", perché
Torino è tutta e apparteniamo a generazioni che non possono più
dire "una volta qui era tutta campagna". Ma, nella presenza delle
associazioni nella vita di quartiere, nella forte spinta del volontariato, nell'autonomia che spesso fa pensare "non sembra neanche Torino, sembra un piccolo paese", si può ritrovare
l'eredità lontana
di quello spirito. Niente è mai frutto del caso, inevitabile
pensarlo.
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