L'ho
pensato il
27 settembre 2018, quando, insieme a decine di giornalisti
e ospiti, dopo una coda e cose che altro che le navi in
fiamme al largo dei bastioni di Orione, sono entrata nella
Cappella
della Sindone. Devo tornarci e vederla con calma, senza tanta folla,
senza l'euforia della riapertura, quando la curiosità sarà scemata, mi sono detta.
Così ho fatto. E, credetemi,
rivedere la Cupola di Guarino Guarini,
qualche giorno dopo la riapertura, con pochi turisti con il naso
all'insù e con
tutta la calma necessaria vale davvero la pena (se
riuscite,
meglio una mattina durante la settimana che il weekend, il
momento in cui i Musei Reali sono più affollati).
Non ho ricordi
di come fosse la Cappella della Sindone, prima della sua chiusura
negli anni '90: ci sono cose delle nostre città che
diamo per scontate e
non frequentiamo quanto dovremmo, la Cappella era in quella lista.
L'incendio e il successivo restauro ventennale hanno risvegliato
l'attenzione su di lei, era
come un convitato di pietra, c'era senza
esserci; sempre presente nello skyline cittadino, anche se nascosta
dalle impalcature, eppure assente da ogni itinerario. Il
restauro è stato lunghissimo e per darvi un'idea di quanto sia stato
complesso e appassionante, vi riporto un brano del comunicato stampa,
che spiega perfettamente come sia stato realizzato: "Sin
da subito emerge la necessità di eseguire
indagini approfondite e
sofisticate, a causa della
mancanza di qualsiasi materiale
documentario e grafico utile a comprendere la genesi e la reale
statica della struttura dell’edificio. La prima azione è la
messa
in sicurezza della cupola mediante un sistema di ancoraggi e
cerchiature metalliche che ne scongiura il crollo. Nel 2000,
garantita la stabilità, comincia la
rimozione dei detriti, si
montano i ponteggi di servizio, gli impianti e i sistemi per
monitorare il comportamento della struttura. Si avvia così il
'
cantiere della conoscenza e della sperimentazione': i rilievi, la
schedatura di circa
seimila frammenti in pietra, le ricerche
storiche, chimiche, fisiche e strutturali, le mappature dei materiali
e del degrado, l'individuazione dei punti resistenti dell'edificio.
Il delicato e complesso lavoro preliminare, di per sé poco visibile
dall'esterno, eppure fondamentale per la riuscita del restauro e per
il recupero totale dell'opera, ha portato all'intervento strutturale.
Nel 2008 iniziano i lavori, che hanno
richiesto
la riapertura dell'antica cava originale di Frabosa
Soprana, in provincia di Cuneo, per acquisire la pietra necessaria
per sostituire i materiali non più recuperabili. Contemporaneamente
si consolidano gli elementi in pietra superstiti e si restaurano i
quattro gruppi scultorei degli uomini illustri di Casa Savoia e la
sacrestia. Dal 2009 vengono eseguiti i lavori di
consolidamento
strutturale che hanno previsto la
sostituzione completa, al primo
livello, di 13 colonne su un totale di 30 dell'ordine minore, di
tutte le 8 lesene dell'ordine maggiore, delle 2 colonne e dell'arco
sghembo di affaccio verso il Duomo e della trabeazione del vestibolo
nord-ovest. Tutto realizzato in marmo nero di Frabosa Soprana
(Cuneo). Ai livelli superiori, realizzati in marmo bigio di Frabosa,
sono stati
smontati e sostituiti numerosi altri elementi: dal secondo
al quarto livello, parti degli archi e parti di pareti, pilastri e
trabeazione della galleria che corre lungo il perimetro del tamburo;
inoltre sono state inserite
nuove catene in acciaio in corrispondenza
dei sei ordini di archetti sovrapposti del cestello dove sono stati
sostituiti i tre ordini inferiori di archetti e consolidati i tre
ordini superiori; inoltre è stata inserita
la struttura di sostegno
della stella e sono state rimosse le catene provvisionali esterne,
strutture di sicurezza che furono messe in opera durante la fase di
emergenza post incendio".
Io non credo che il restauro si
potesse spiegare meglio, con linguaggio comprensibile ai non addetti
ai lavori. Con questi concetti in testa, in questi giorni sono
passata
un paio di volte a visitare la Cappella. Se viene naturale
stare con il naso all'insù, per perdersi nel gioco degli archetti,
che filtrano la luce verso l'interno e che affascinano per il disegno
che creano, non bisogna trascurare
la decorazione delle pareti
verticali, comprese le statue del
Duca Emanuele Filiberto, da cui
tutto è iniziato (sapevo che era sepolto qui, ma dopo l'incendio non
so cosa sia stato delle sue ceneri) e del pronipote
Carlo Emanuele II;
rinnovano il legame di Casa Savoia con la Sacra Sindone ed esprimono
l'orgoglio dei primi Duchi italiani della dinastia. Il contrasto
tra
il marmo bianco dei gruppi scultorei e le pareti di
marmo nero attira
l'attenzione, come non sfugge la
metafora voluta dal Guarini e
restituita dal restauro: a livello della Terra
tutto è scuro e la
luce, ovvero la Salvezza, può
piovere solo dall'alto, ovvero da Dio.
Una metafora che però un po' si perde
nel nuovo ingresso alla
Cappella. Ed è questa la mia unica
perplessità in questo splendido
lavoro di restituzione fatto in questi anni.
Nel
progetto di Guarino Guarini, l'ingresso dei visitatori avveniva
dal
Duomo, lungo le due scalinate buie che chiudono le navate laterali.
Era chiaro
il senso dell'ascesa sia in senso fisico, bisognava salire
le scale,
sia in senso metaforico, ci si avvicinava alla luce e,
dunque, alla Salvezza, cosa che costa fatica e sacrificio. Poi,
arrivando dalla rampa buia, la Cappella era una sorpresa,
la
meraviglia del barocco: la decorazione era scura, illuminata
dalla luce che pioveva dall'alto e che si manifestava in tutto il suo
splendore alzando lo sguardo verso i millemila archetti e verso i raggi dorati del cupolino, ovvero, verso Dio.
Questo
senso di ascesa verso Dio si perde nel nuovo ingresso, dai
Musei Reali. Adesso si entra
dall'ingresso privilegiato dei
sovrani sabaudi e la Famiglia Reale, direttamente in Cappella: certo,
si rimane affascinati dalla bellezza delle decorazioni, dalla luce,
da quella cupola straordinaria che chiunque venga o viva a Torino
deve vedere
almeno una volta nella vita, ma si è perso
il senso
religioso, di cui l'architettura era a servizio. Ed è un
peccato, in fondo.
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