Fino a metà dell'Ottocento, lungo la
riva sinistra del Po, nel tratto più o meno compreso tra l'attuale
piazza Vittorio Veneto e corso San Maurizio, c'era il
Borgo del
Moschino. Era piuttosto
malfamato ed era
insalubre: le casupole e i
vicoletti irregolari che le separavano erano in forte degrado, con
conseguenze sulla salute e sullo stile di vita degli abitanti. Nel
1866, dopo la Terza Guerra d'Indipendenza, ci fu un'
epidemia di
colera, che costrinse la Città a chiedersi cosa fare di questo
piccolo borgo fonte di tanti problemi. In quell'epoca era già
iniziata la
sistemazione di piazza Vittorio Veneto, ovvero,
del definitivo avvicinamento di Torino al suo fiume: fino ad allora, infatti,
la porta d'ingresso alla città era stata
al termine di via Po; all'abbattimento delle mura voluto da Napoleone, tra il fiume e via Po era stato realizzata
una piazza a verde, con ampi viali a forma di esedra. Quando venne
iniziata la costruzione di piazza Vittorio Veneto, con l'arrivo degli
edifici in prossimità del fiume, l'idea dei viali venne trasferita
al collegamento della piazza al non lontanissimo corso Vittorio
Emanuele II e, quindi, Parco del Valentino.
Secondo il
progetto
di Carlo Promis, doveva essere creato un ampio viale
su un terrapieno
affacciato sul Po; in questo modo si creò
la distanza che separa
ancora oggi Torino dal suo fiume, guardato dall'alto più che vissuto
quotidianamente. I Murazzi a monte del Ponte Vittorio Emanuele I
nacquero così, come
terrapieni della passeggiata che doveva unire
piazza Vittorio Veneto a corso Vittorio Emanuele II,
formati da ampie
arcate, dietro le quali c'erano profonde nicchie (la scelta fu dovuta
probabilmente a
scelte di risparmio e di statica: le nicchie
garantivano una maggior resistenza alle spinte del terreno e, allo
stesso tempo, facevano risparmiare la terra di riempimento del
dislivello). La realizzazione dei Murazzi a monte, fu
fondamentale
per stabilire cosa fare della riva a valle del Ponte Vittorio
Emanuele I, dove sorgeva il Borgo del Moschino.
Nel 1868,
l'architetto Carlo Gabetti presentò
il progetto di demolizione del
Borgo: le casupole sarebbero state abbattute, in modo da permettere
il
proseguimento di corso San Maurizio, un canale coperto avrebbe
portato a valle della confluenza della Dora gli
scarichi fognari sul
Po, che erano nei pressi del Borgo, con le conseguenze sanitarie
facilmente immaginabili. Nel 1872, si decise
la costruzione dei nuovi
Murazzi, con una strada a livello del fiume, ma di circa 60 cm più
alta rispetto a quella realizzata sotto il ponte, in questo modo
sarebbe stata
2 metri sopra il Po. I Murazzi veri e
propri sarebbero stati alti circa 10 metri, con un
disegno
architettonico diverso da quello realizzato a monte: il progetto
infatti prevedeva
un unico muraglione pieno, unito a un muro esterno
da
archi trasversali, a cui sarebbe toccato il compito di resistere
alle spinte. Nello spazio libero sotto le arcate, erano previste
attività produttive, in particolare lavanderie e tintorie, vicine
all'acqua del fiume (lungo la riva del Po vivevano da secoli, per
ovvie ragioni, le lavandaie che servivano Torino). All'altezza di
corso San Maurizio,
una scala esterna a doppio ordine metteva in
comunicazione il corso superiore con la via lungo il fiume.
La piantina del Moschino, prima della demolizione (sin) - La facciata dei Murazzi (des)
La
facciata dei Murazzi era particolarmente
ben disegnata, con uso di
fasce, cornici e parapetti. "I pilastri esterni, i gradini, gli
zoccoli, le fasce le cornici, le cimase ed i pilastrini vennero
realizzati utilizzando la pietra proveniente dalle cave del
Malanaggio (frazione del comune di Porte, in Val Chisone): è uno
gneiss dioritico fine, tenace, resistente allo schiacciamento ma
sfalsabile sotto l'azione di agenti esterni; questo materiale fu
impiegato a Torino per la costruzione delle colonne e della gradinata
della Gran Madre di Dio, per la costruzione del ponte Mosca e per le
colonne della facciata della Basilica Magistrale dei Santi Maurizio e
Lazzaro" racconta
La storia della costruzione dei Murazzi del Po,
che potete leggere, in .pdf, su
www.comune.torino.it.
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