Accanto alla Reggia di Venaria Reale,
in una delle
maniche alfieriane del complesso sabaudo, c'è il
Centro
Conservazione e Restauro della Venaria Reale, una delle
eccellenze meno conosciute del Piemonte.
Eppure è una delle dimostrazioni pratiche che con la cultura e con
il turismo non solo si mangia, ma si creano anche
posti di lavoro di
qualità e
professionalità con grandi competenze. Nel Centro di
Restauro sono passati, e passano, capolavori della pittura, della
scultura, delle decorazioni che vediamo poi in mostre e in musei.
Oltre ai professionisti del restauro, ci sono anche gli studenti del
Corso di Laurea magistrale in Conservazione e Restauro dei Beni
Culturali, attivato con la collaborazione dell'
Università degli
Studi di Torino. Ciclicamente, il Centro organizza anche delle
visite
guidate ai suoi laboratori, per permettere ai cittadini di conoscere
il suo lavoro e di scoprire quanto sia complesso e appassionante il
restauro di un'opera d'arte.
Qualche giorno fa ho partecipato
alla visita al
laboratorio dei tessuti, per scoprire come si
restaurano gli
arazzi. Ad accompagnarci, gli stessi
restauratori, che hanno raccontato con
passione il loro lavoro (mandarci via non
è stata cosa semplice, date le domande, che
la loro disponibilità incoraggiava a porre). Il restauro inizia sempre
dalla
storia del manufatto: bisogna capire chi è e come è stato
fatto, per comprendere come conservarlo; le
analisi chimiche aiutano
a compendere la composizione dei suoi materiali e a individuare le giuste
soluzioni per la pulitura; quindi i
restauratori intervengono per
conservare l'opera, seguendo le indicazioni che le analisi precedenti
hanno dato. Capite
quante professionalità sono necessarie per
permettere a un'opera di superare il suo tempo.
Nel laboratorio
dei tessuti, abbiamo trovato uno
splendido arazzo fiammingo disteso su
un tavolo apposito: sui lati lunghi del tavolo, tubi con manovella
permettono di arrotolare l'arazzo e portarlo fino a dove è
necessario l'intervento delle restauratrici; sempre sul bordo del
tavolo, una lunga fila di tavolette che si possono togliere, permette
alle professioniste di usare ago e filo da sopra a sotto il tavolo, come se di un ricamo si
trattasse. Qui abbiamo scoperto che anche la realizzazione di un
arazzo era complessa: il
disegno, realizzato come un quadro, in scala 1:1,
era il riferimento per
l'
impostazione del telaio, cioè gli orditi, messi a telaio
in senso
verticale, e quindi dalle trame. Gli orditi erano di colore neutro,
perché costituivano l'impalcatura dell'arazzo, coperto poi dal
disegno delle trame; i fili delle trame erano invece tinti, in base
alle sfumature previste dal disegno da realizzare. E qui le cose più
interessanti: le trame, a seconda del loro disegno, richiedevano il
lavoro di diversi artigiani specializzati; gli artigiani lavoravano
sul retro dell'arazzo e in verticale, quindi avevano un punto di
vista
ruotato di 90° rispetto al disegno totale, che, lavorando sul
retro, neanche vedevano. Immaginate che grado di specializzazione e
che abilità!
Gli arazzi arrivano in laboratorio dopo il lungo
processo di analisi storica e chimica, che permette di individuare
con quali tecniche e con quali materiali sono stati realizzati. Una
volta in laboratorio, vengono analizzati per individuare i punti più
deboli, quelli in cui
il disegno è più fragile; questi punti
vengono segnati con un filo bianco, che aiutano a contenerli nelle
fasi di pulitura. L'arazzo viene poi pulito dalla polvere, aspirata attentamente, e viene
immerso nell'acqua, in vasche appositamente
costruite, in modo da rimuovere la polvere più profonda, che si è
legata chimicamente ai fili; questa fase è delicata, è il momento
in ci le parti più degradate possono aprirsi e rovinarsi, per questo
le filze contenimento. Una volta che il manufatto si asciuga, inizia
il paziente lavoro delle restauratrici, che
non ricostruiscono
l'arazzo, sostituendo i fili sbiaditi con quelli nuovi, ma si
limitano a
consolidare le aree più deboli, inserendo magari supporti
in lino o usando
punti di fermatura in seta, in
modo da infittire le zone più problematiche, dove magari si è persa
la trama o c'è una lacuna di ordito. Non un lavoro di rammendo, ma
un freno al degrado.
Il restauro è conservativo, non ricostruttivo.
Il lavoro è di pazienza certosina e la passione è tanta:
non
guarderò più un arazzo fiammingo con gli stessi occhi, pensando
agli
artigiani che li hanno realizzati e alle
restauratrici che hanno
permesso loro di sopravvivere.
Il Centro di Restauro della Reggia
di Venaria organizza visite ai suoi laboratori
un sabato al mese, se
potete, approfittatene perché è davvero bello conoscere un lavoro così
prezioso, raccontato con tanta
passione, in un'eccellenza piemontese della cultura tutta da scoprire. Con la tessera Abbonamento Musei sono
gratuite, se non l'avete costano
8 euro e vanno prenotate al tel 011
4992333 o all'email
prenotazioni@lavenariareale.it;
tutte le info su
www.centrorestaurovenaria.it.
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