Il
Festival del Cinema Latino Americano doveva ancora terminare, era
sabato sera, e ho avuto subito il
presentimento. Nel breve tragitto
che separa il Teatro Miela da Eataly, dove si sarebbe svolta la Festa
Peruviana, aveva iniziato a
soffiare la bora. Gelida, intensa,
costante. I due giorni che avevo preso per me, dopo il Festival, per
gustarmi Trieste, una delle città italiane che amo di più, quella
che
consiglio sempre a chi vuole uscire dallo stereotipo
Venezia-Firenze-Roma, sarebbero stati disastrosamente
condizionati
dalla bora. Disastrosamente perché, nel preparare la valigia per la
decina di giorni da trascorrere nella città giuliana, ho dato retta
alle
previsioni, che davano le temperature tra i 13 e i 20°C. E qui
il primo consiglio: in queste stagioni medio-fredde, non fatelo mai!
La bora arriva all'improvviso ed è gelida, trapassa cappotti e
doppie maglie e arriva diritto alla pelle.
Prevedete sempre una
giacca imbottita,
maglie aderenti, che non lascino un minimo spazio
al vento di infilarsi (perché si infila!),
un cappello
(indispensabile, perché gela le tempie!),
i guanti (fondamentali!) e
una sciarpa. Devo ringraziare
i negozi dei cinesi aperti alla domenica
se ho potuto comprare un caldo cappellino di lana e i guanti a prezzi
ammissibili. Così ho scoperto pure quanto il centro di Trieste sia
in mano a questi silenziosissimi lavoratori, che parlano poco
l'italiano, affastellano di tutto e di più nei loro negozi e sono
instancabilmente aperti pure nei festivi!
Ci ho messo
una
giornata a superare il trauma della bora che mi ha 'rovinato' i
piani. Ma accettato il concetto di "o vado in giro con 'sto
freddo o non vedo Trieste",
ho affrontato la sfida e vi assicuro
che se debitamente equipaggiati,
la bora è un'esperienza da provare.
Ci pensavo di ritorno dal Castello di Miramare, lungo il viale che
porta verso la città. Sognavo da sempre di percorrerlo per un lungo
pezzo, dopo aver visitato il Castello, e non avevo mai potuto farlo prima
perché in compagnia di persone che avevano altre idee; l'ho fatto
nei giorni scorsi, sotto la bora, resistendo alla sua forza, cercando
gli scorci del Castello, delle onde violente e del cielo, che si
divertiva a cambiare i colori del mare secondo i suoi disegni.
Il
paesaggio cambiato dalla bora, con i gabbiani che cercano protezione
tra le loro piume, le onde increspate e minacciose, gli alberi
sibilanti e i triestini che camminano veloci e abili, coperti
sapientemente da giacche imbottite, cappello, sciarpe e cappuccio, tutto ha
un suo fascino. Per lo meno,
sono stata alla fine contenta di averlo
conosciuto e provato, perché Trieste è anche questo e non sarebbe la stessa senza
lo stretto
rapporto con il suo vento.
Cosa fare
a Trieste quando tira la bora? Se debitamente vestiti, si può fare
tutto. Meno passeggiare sulle Rive. Bisogna
rinunciare al Molo
Audace perché è pericoloso: proteso sul mare ed esposto a tutti i venti, facile immaginare quanto sia rischioso quando il vento fa perdere l'equilibrio. L'ho visto deserto come mai prima e
poi, finita la tempesta, di nuovo affollato, fascinosissimo punto di
incontro tra l'uomo e il suo mare.
Anche questo è da provare.
Poi si
torna
in piazza Unità d'Italia e si può
salire verso San Giusto,
nelle viuzze protette dalla furia del vento si possono anche scattare
fotografie con lo smartphone senza gelare la mano liberata dal
guanto. Ci sono diverse strade che portano su, verso la chiesa
triestina, ma preferisco sempre
la via della Cattedrale, che si
conclude in un bel viale, al fondo del quale c'è
il
magnifico rosone della facciata di San Giusto. Il Castello è
accanto, con i resti dell'antico Foro romano: millenni di storia racchiusi in
pochi metri quadrati, con tutte le suggestioni letterarie che
seguono. Accanto alla Cattedrale (se la visitate di domenica, attenti
agli orari delle Messe!), che conserva preziosi mosaici medievali,
c'è il
Museo d'Antichità J.J. Winckelmann, che è a
ingresso libero e in cui si
trovano numerosi reperti romani di area friulana e giuliana (alcune
steli arrivano anche da Aquileia); si conclude con il
cenotafio di
Johann Joachim Winckelmann, uno dei più importanti storici dell'arte
e archeologi della storia, che fu assassinato a Trieste; di gusto
neoclassico, circondato da statue romane, racconta in qualche modo
il
rapporto tra il Settecento e il mondo classico
e vale la pena visitarlo.
Trieste ha numerosi Musei. Uno dei più
affascinanti è il
Museo Revoltella, dedicato all'arte moderna. C'è un che
di curioso e di speciale nell'associare
l'arte moderna a una città dall'
architettura così asburgica, solenne, mitteleuropea. Si visitano le sale del Museo e poi si scende in strada, a
Cavana, uno dei quartieri storici della città, di viuzze piene di locali, di scorci verso le Rive, di palazzi che ricordano il passato austriaco (io non so se esista un'altra città dall'aspetto
così chiaramente straniero e che, allo stesso tempo, sia
così fortemente italiana nei suoi simboli: è la magia di Trieste).
E poi c'è il Castello di Miramare, che amo da quando, ragazzina,
mi hanno raccontato la storia triste di Massimiliano e Carlotta.
Vederlo
in un giorno di bora rende ancora più romantica la tragica
vicenda dei due principi. I colori violenti del mare, il contrasto tra
cielo e terra, la linea netta dell'orizzonte, Trieste in lontananza e
le coste slovene di fronte. E poi questo Castello di stile eclettico,
piccolino eppure scrigno di tesori e di storie,
non solo le sale di
Massimiliano e Carlotta o la sfarzosa sala del trono che non fu mai
usata, tutte arredate con il gusto elegante dell'Ottocento, tra
ceramiche, mobili intarsiati e tanto rosso, il colore a cui
Massimiliano aveva associato il suo destino, ma anche
i meno
fascinosi appartamenti del Duca Amedeo d'Aosta, che qui visse qualche
anno con la sua famiglia, prima del tragico epilogo (anche lui!) in
terra africana. Il Castello è così bello e regala così tante
emozioni, tutte le volte, che gli dedicherò un articolo nei prossimi
giorni.
Di ritorno da Miramare (dalla Stazione Centrale c'è il
bus 6: il biglietto costa 1,25 euro e il viaggio dura circa 15
minuti),
rifugiarsi in un caffè è naturale. Anzi,
si capisce
finalmente perché i triestini amino così tanto i caffè: caldi,
accoglienti, eleganti, dove rifugiarsi in un giorno di bora? Un
caffè, una cioccolata, un tè con una fetta di torta sono
irrinunciabili. Il
Caffè degli Specchi, in piazza Unità d'Italia, è
uno dei più famosi della città (diciamo anche d'Italia?); sul Canal
Grande c'è il
Caffé Rossini, un altro dei caffè storici cittadini,
con bella vista sulle cupole orientali della chiesa di San Spridione.
Il mio prediletto è stato il
Theresia, in piazza della Borsa: tra tè
e latte caldo, brioche alla crema e fette di Sacher, non c'è stato
giorno in cui non ci sia passata almeno un paio di volte.
La bora
ha smesso di soffiare dopo tre giorni, così
come vuole la leggenda
che mi hanno raccontato a Trieste:
soffia per un numero di
giorni dispari. All'improvviso sono scesa in strada e non servivano
più doppie maglie, cappello, guanti. C'erano di nuovo le tiepide temperature novembrine dei giorni del Festival del Cinema Latino Americano. Peccato che il treno per Torino sarebbe stato
poche ore dopo: sono subito corsa a salutare il
Molo Audace, per me uno dei posti più belli d'Italia, uno dei miei posti della vita, come ho scritto su Instagram. Di
nuovo affollato, di nuovo bellissimo, con i gabbiani che si facevano
cullare dal mare placido, il cielo che disegnava i colori lividi
della distesa azzurra e laggiù, all'orizzonte,
le Alpi, che non si
vedono mai, ma per il mio ultimo giorno triestino
si sono lasciate
intravedere. Grazie anche a loro per questi tre giorni speciali,
che mi hanno messo alla prova e che mi hanno fatto apprezzare Trieste sotto una nuova luce.
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