Alla proclamazione della Seconda
Repubblica,
re Alfonso XIII e la
regina Victoria Eugenia di Spagna
lasciarono il Paese e, dopo qualche anno di esilio in Francia,
ripararono a
Roma (dove nacque poi anche il loro nipote
Juan Carlos,
che una quarantina di anni dopo avrebbe restaurato la monarchia in
patria). Fu naturale che le
loro due figlie frequentassero la nobiltà
italiana e che finissero per
sposare esponenti dell'aristocrazia
locale: l'
Infanta Beatriz sposò il principe
Alessandro Torlonia,
l'
Infanta Maria Cristina il conte
Enrico Marone Cinzano, di
recentissima nobiltà. Una visse a Roma, l'altra si trasferì a
Torino.
I
Marone Cinzano non erano una famiglia
nobile,
nati nel 1894 dall'unione dell'imprenditore Alberto Marone
con l
'ultima dei Cinzano, Paola, erede della celebre dinastia dei
vini, con origini nel XVIII secolo (i primi documenti sulla loro
attività di distillazione
sono del 1757). Affinché non andasse
perduto il cognome materno, i loro figli,
Enrico e Lidya, adottarono
il
doppio cognome, Marone Cinzano. Alcuni anni dopo il matrimonio,
nel 1906, Alberto divenne l'unico proprietario dell'azienda della
moglie, liquidando gli altri soci. Enrico, unico erede del nome e
delle attività paterne, dimostrò sin dalla giovane età di essere
coraggioso e carismatico. Nato
nel 1895, nel 1915 si arruolò
volontario in guerra, nonostante, essendo unico figlio maschio, non
fosse necessario partecipasse A raccontare il suo coraggio,
Gustavo Mola di Nomaglio, nel
libro
La palazzina Marone Cinzano: "Per esempio, nel 1940, di
fronte
a un duello che l'oppose a un avversario assai più preparato
di lui, al quale non volle sottrarsi, nonostante potesse agevolmente
farlo, oppure dopo l'8 settembre del 1943, quando
partecipò alla
Resistenza, guidando l'organizzazione e missione
Glass e Cross (dai
nomi di battaglia dei due fondatori, giustappunto Enrico Marone e
l'avvocato Giulio Colombo". La Glass e Cross operò in Valle
d'Aosta, collaborando con i Maquisard francesi, con funzioni
eminentemente finanziarie e di
intelligence a sostegno della guerra
partigiana".
Non solo, Enrico fu
presidente del Torino negli
anni 20 e sotto la sua presidenza fu
costruito lo Stadio Filadelfia,
in cui, pochi decenni dopo, sarebbe nata
la leggenda del Grande
Torino; fu anche
presidente dello scudetto mai riconosciuto, vinto nel 1926. Fu c
onsole onorario della Bulgaria e mecenate:
proveniva da una famiglia
profondamente attenta alla solidarietà,
sia negli investimenti finanziari che nelle opere di bene, e continuò
la tradizione familiare.
I Marone Cinzano hanno sempre avuto una
penuria di eredi maschi: sposato in prime nozze con
Noemi Rosa de
Alcorta, Enrico ebbe da lei due figli, Consuelo e
Alberto, l'erede
della fortuna familiare (sarebbe morto 60enne in Spagna, nel 1989, in
un incidente stradale, mentre si recava a un appuntamento con il "cugino", re Juan Carlos); rimasto vedovo, sposò l'
Infanta Maria
Cristina di Spagna nel 1940, avendo da lei
quattro figlie, Vittoria
Eugenia, Giovanna, Maria Teresa e Anna Alessandra. Enrico ricevette
il
titolo di conte da re Vittorio Emanuele III, nell'anno del
matrimonio con l'Infanta: un riconoscimento ai meriti familiari? Un
affettuoso aiuto per un matrimonio così poco paritario, lei figlia
di re, seppure in esilio, lui plebeo figlio di piccoli imprenditori,
per quanto ricchi e audaci? Certo è che il matrimonio tra
l'Infanta ed Enrico, separati da
16 anni di differenza, contò anche
sui
buoni auspici della regina Elena, che seppe dare una mano alla
coppia, affinché potesse arrivare alle nozze.
Enrico e Maria Cristina
vissero tra Torino, nella
palazzina di famiglia di corso Stati Uniti,
e la Svizzera, dove si
era trasferita la regina Victoria Eugenia, separata da re Alfonso
XIII, e dove nacquero due delle loro figlie; i
legami con la Spagna
non andarono mai persi, neanche durante il franchismo: quasi tutte le
loro figlie hanno sposato esponenti della piccola nobiltà spagnola.
La loro
residenza torinese era un villino tipico di fine Ottocento,
di gusto eclettico, con influenze barocche, come spesso succede a
Torino: fu acquistato all'inizio del Novecento da Alberto Maroni
Cinzano, il padre di Enrico, dando vita a "un'operazione di
decoro e di arredo
ancora oggi stupefacenti, secondo un sontuoso
gusto non dissimile da quello che
la Regina Margherita aveva attuato
a Roma per arredare il Quirinale. I lavori nella Palazzina si
svilupparono lungo un arco temporale lunghissimo, dal 1905 al 1936,
con il ricorso a professionisti quali l'Architetto
Pietro Fenoglio,
il disegnatore e ornatista
Pietro Vacchetta, il pittore
Carlo
Cussetti, a quel tempo notissimo a Torino, gli stuccatori della ditta
di
Carlo Musso, oltre ai migliori
minusieri e doratori presenti sul
mercato. Già nel 1910 il Cussetti aveva definito il progetto del
Salone in stile Luigi XV, detto anche Sala da Ballo, con i quattro
medaglioni negli angoli e le splendide porte decorative, come pure
dell'attiguo salottino cinese con tutti i sorprendenti dettagli
decorativi e le nature morte a imitazione di quelle di Michele
Antonio Rapus, presente comunque nella residenza con quattro tele,
allegoria delle Quattro Stagioni" scrive
nel suo sito il Centro Congressi
dell'Unione Industriale, che è proprietario dell'edificio e qui vi
ha la propria sede da diversi decenni. La palazzina è stata
aperta
in occasione delle Giornate di Primavera del FAI (e potrebbe aprire
prossimamente,
stay tuned!) e ha rivelato saloni di grande eleganza,
con arazzi antichi di matrice inglese e di concezione fiamminga,
deliziosi salottini un sorprendente gabinetto cinese e ampi saloni
dai soffitti decorati, anche con foglie d'oro. Davvero un luogo
speciale, in cui Enrico e Maria Cristina ricevevano gli amici,
crescevano le loro figlie e mantenevano quello stile di vita sobrio e
discreto che caratterizza le famiglie dell'aristocrazia torinese:
nessuno avrebbe mai potuto pensare che dentro quel villino vivesse una
delle figlie di re Alfonso XIII di Spagna.
Quando, negli anni '50, i Marone
Cinzano cedettero la proprietà all'Unione Industriale,
il legame con
Torino non si spezzò. Enrico morì nel 1968, Maria Cristina lo seguì
nel 1996, a Madrid, poco prima di Natale, durante una riunione con la
Famiglia Reale; volle essere
sepolta a Torino, nel Cimitero
Monumentale,
nella tomba dei Marone Cinzano, accanto al marito; al
suo funerale furono presenti, in forma strettamente privata, anche re Juan
Carlos, con la regina Sofia e i loro tre figli, Elena, Cristina e
Felipe.
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