I palazzi aristocratici torinesi
custodiscono
non solo patrimoni d'arte e d'architettura, ma, spesso,
storie di uomini e donne sorprendenti e affascinanti. Come
Palazzo
Perrone di San Martino, che, in
via XX settembre 31, dopo numerosi rifacimenti, oggi è la
sede della
Fondazione CRT. Qui visse la prima gioventù
Ettore
Perrone,
conte di San Martino, che, nato curiosamente
nell'anno della
Rivoluzione Francese, il 1789, fu può essere considerato un esempio
di come le idee liberali cambiarono la vita di tanti uomini
delle
classi alte e colte, fino al sacrificio finale, che per Ettore fu a
Novara, a 60 anni, durante la Prima Guerra di Indipendenza.
Ettore
era il
terzo figlio maschio del conte
Carlo Luigi e di sua moglie
Paola Argentero di Bersezio; prima di lui c'erano Carlo e Vittorio,
anche loro dedicati alla carriera militare. La sua vicenda si
inserisce
nel Piemonte diviso tra conservazione e idee liberali
provenienti dalla vicina Francia: da un lato la fedeltà a Casa
Savoia, dall'altra la necessità di adattarsi ai nuovi potenti,
dall'altra ancora, infine, il fascino delle nuove idee. Quando
Napoleone invase l'Italia, i Perrone si
ritirarono in Toscana, fedeli
ai sovrani sabaudi, come tante altre famiglie aristocratiche;
ritornarono a Torino solo quando il nuovo regime li costrinse,
minacciando altrimenti la confisca dei loro beni. Nella Torino
napoleonica, la famiglia si mosse
con disinvoltura: le espropriazioni
alla Chiesa permisero loro di
acquistare il convento delle
Cappuccine, che occupava parte dell'isolato del loro Palazzo, e la
contessa Paola divenne dama di palazzo della Corte imperiale, grazie
ai rapporti con
Paolina Bonaparte, moglie del nuovo governatore di
Torino
Camillo Borghese. I figli intrapresero
la carriera militare
nell'esercito francese:
Carlo si arruolò in marina,
Vittorio in
cavalleria e morì a Fère Champenoise, durante una carica, il 25
marzo 1814, poco prima dell'abdicazione di Napoleone.
Ettore iniziò
la sua carriera dal basso, come soldato semplice volontario nel 1806,
nella
Lègion du Midi, composta quasi solo da piemontesi. Sin da
subito si mise in evidenza
per il coraggio, nello stesso 1806 divenne
sergente e iniziò gli studi
nella scuola militare di Saint Cyr, uno
dei più importanti di Francia, e
partecipò alle campagne
napoleoniche di Polonia e di Austria. Divenne
Cavaliere della Legion
d'Onore nel 1809, grazie al coraggio mostrato nella battaglia di
Wagram, dove fu ferito al petto. Quindi, tra battaglie e ferite, nel
1814 fu nominato da Napoleone Comandante di Battaglione del 24º
Fanteria di Linea; erano gli ultimi momenti di gloria dell'avventura
napoleonica: durante l'effimero ritorno fu nominato Maggiore Aiutante
di Campo del generale conte Gérard, quindi,
dopo la sconfitta di
Waterloo, si mise in aspettativa.
Con la Restaurazione, decise di
tornare in Piemonte e si stabilì a
Perosa Canavese, dove iniziò a
occuparsi di
agricoltura nelle tenute avite. Ma era solo una
copertura, dato che partecipò attivamente ai
moti carbonari del
1821: nella sua casa
di Perosa vennero infatti trovati documenti compromettenti circa la
sua complicità con i ribelli, per cui
la condanna a morte e la
confisca dei suoi beni furono la conseguenza, nel regime reazionario
dei Savoia. Di nuovo
in Francia, si stabilì
nella Loira, dove
apprese
nuove tecniche d'agricoltura e dove non si stancò di
sperimentare nuovi approcci al mondo agricolo, diventando in poco
tempo un punto di riferimento locale. Ma
la battaglia e la gloria lo
richiamarono e nel 1830 riprese la sua carriera militare, questa
volta
al servizio di Luigi Filippo d'Orléans, re dei Francesi.
Partecipò alle guerre per difendere la nuova monarchia e fu in
servizio attivo
fino al 1848. Fu allora che
il fatale destino lo
chiamò in Italia.
Fu il
proclama di re Carlo Alberto, che nel
1848 dichiarò guerra all'Austria a richiamarlo in patria. Intriso di
idee liberali (curiosità, sua moglie fu
Louise de la Tour
Maubourg, nipote di
La Fayette), mise la sua spada sempre
al servizio
dei sovrani stranieri e finalmente, nella piena maturità, era
la sua
terra a chiamarlo, per quegli stessi ideali liberali. "Scrisse
al suo amico d'infanzia, il ministro Cesare Balbo e offrì la sua
spada. Ventisette anni d'esilio, una condanna a morte, la serena
tranquillità che gli offriva la Francia, vennero cancellati in un
istante" sintetizza bene Wikipedia (ma manca la fonte originaria). A
Milano, durante le Cinque
Giornate, fu nominato
Luogotenente Generale, a
Ivrea, nel suo
Canavese, lo vollero poco dopo
primo deputato del Parlamento
Subalpino, divenne
Luogotenente Generale dell'Esercito Sardo durante
la prima parte della Prima Guerra d'Indipendenza; fu anche
Ministro
degli Esteri, per pochi mesi, e poco, dopo, sempre per pochi mesi,
Presidente del Consiglio dei Ministri; i lunghi anni trascorsi in
Francia non gli furono perdonati: alla Camera sostennero che non
potesse essere idoneo a guidare il Governo a causa del suo passato.
Venne perciò
escluso da successive elezioni, ma Carlo Alberto lo
volle con sé, nominandolo
Membro del Congresso Permanente Consultivo
della Guerra e quindi
Luogotenente Generale Comandante della III Divisione di Fanteria del Regno di Sardegna per la seconda parte
della I Guerra d'Indipendenza.
Perse la vita poco dopo, il
29 marzo
1849, a Novara, dopo
la più devastante sconfitta dei Savoia in cerca
di un ruolo in Italia: in battaglia, fu colpito alla testa, mentre difendeva la bandiera e morì dopo
un'agonia di sei giorni. Re Carlo Alberto, che dopo quella sconfitta
abdicò e si ritirò a Oporto, lasciando il Risorgimento nascente
nella mani del figlio Vittorio Emanuele, rimpianse di non aver avuto
lo stesso destino del coraggioso comandante. Fu
la morte sognata per
un uomo che poteva vivere una vita agiata tra i possedimenti del
Canavese e lo storico palazzo di famiglia a Torino e che scelse
invece di mettersi
al servizio delle sue idee di libertà. I
suoi figli seguirono il suo esempio di pubblico impegno per il proprio Paese: tra i diversi riconoscimenti ottenuti durante la sua carriera militare,
Roberto ebbe la Medaglia d'Oro al valor militare nella battaglia di Custoza, durante la III guerra d'indipendenza;
Arturo fu maggiore d'artiglieria e deputato del Parlamento;
Fernando, morto giovanissimo, a soli 29 anni nel 1864, divenne segretario personale del Ministro Cavour e fu primo presidente e fondatore del Club Alpino Italiano.
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