È stato uno dei protagonisti di
Utopian Hours, il Festival sulla costruzione delle città del futuro
che ha avuto luogo lo scorso weekend, nella
Nuvola Lavazza. A
Paolo
Soleri, architetto e visionario torinese, sono stati dedicati una
mostra e un incontro. Una bella occasione per riscoprire questa
personalità complessa e affascinante, sconosciuta anche nella sua
stessa città. Laureatosi nel 1946 in Architettura al
Politecnico di
Torino, Soleri lasciò ben presto l'Italia per gli Stati Uniti, dove
lavorò a lungo con
Frank Lloyd Wright e sviluppò la propria visione
dell'architettura e dell'urbanistica.
Una delle sue passioni, e
anche ossessioni, non sempre bisogna dare una connotazione negativa
alla parola, fu
la costruzione delle città. Mentre Wright aveva
immaginato la
Broadcare City, ovvero una
città in espansione, con
una divisione del territorio tra le diverse famiglie e un sistema di
trasporti e di agricoltura al servizio di questa città, Soleri, al
contrario, progettava
città compatte, quasi come alveari, così da
evitare l'espansione urbana a discapito
della natura e delle sue
risorse. Una
città ideologica, in qualche modo, che precorreva
i
sogni collettivistici degli anni 60, con uno
scambio equo tra uomo e
natura, trasporto pubblico e percorsi il più possibile pedonali, per limitare
inquinamento, spreco e anche alienazione. Nei suoi schizzi,
edifici con grandi volte, con reminiscenze un po' romane e un po' rinascimentali, l'idea di costruzioni che rubassero poco spazio alla natura e che ricoprissero
al loro interno molteplici funzioni.
Negli anni 70,
l'architetto iniziò a costruire
la sua città ideale nell'Arizona, circa 100 km a nord di Phoenix, al fondo di una gola affacciata sulla valle
del fiume Agua Fria; la chiamò
Arcosanti. Un nome non casuale:
Soleri fu l'ideatore dell'
arcologia, ovvero dell'architettura legata
all'ecologia; Arcosanti è una crasi tra arc, ovvero arcologia, e
cosanti, nome del suo studio-laboratorio, che indica anche
anti-cosa. Sui
60 acri di terreno appositamente acquistati,
l'architetto, aiutato da volontari, iniziò a costruire la sua città
ideale,
adattando l'utopia al terreno e alle limitate risorse
economiche. Arcosanti era immaginata per circa
5000 abitanti, per i
quali erano previste due grandi strutture, con grandi volte, sotto le
quali, c'erano spazi multifunzionali. La descrizione del progetto più
comprensibile per i non addetti ai lavori, l'ho trovata su wikipedia
(ebbene sì!): "La prima struttura a essere costruita, nel 1971,
è la
Volta Sud; gli elementi che la compongono sono stati
prefabbricati formando il conglomerato su uno strato di silt disposto
su una larga centina in legno strutturale; la superficie superiore
del silt è stata modellata e levigata in una precisa forma curva
grazie a un regolo scorrente su binari. L'armatura è a rete, in
tondini di ferro. Ogni successiva serie è stata realizzata
utilizzando come forma la superficie della serie formata
precedentemente.
Per la costruzione della Volta Sud sono stati utilizzati 130 metri cubi di calcestruzzo e 35 tonnellate
di ferro. I pannelli arcuati sono 12, pesano fino a 6 tonnellate e
poggiano su una struttura di imposta realizzata con metodi
tradizionali. Nel 1975 con lo stesso metodo è stata realizzata la
Volta Nord. Ciascuna delle due volte copre una superficie di circa
300 m², è alta 11 m, larga 28 m e lunga 9,5 m. Le due volte sono
adiacenti, nella zona frontale della parte costruita di Arcosanti".
Sono state costruite anche la
Foundry Apse e, intorno, le
cellule
abitative, " in unità accoppiate specularmente, in parte
interrate e collegate da un anello affacciantesi all'interno
dell'abside". "Le costruzioni, realizzate in cemento, sono
gettate in opera solo parzialmente" spiega Chiara De Grandi
su artwave.it. "La maggior parte degli elementi è realizzata con il
metodo della formatura a terra, che sfrutta l'argillosità del
terreno semidesertico dell'Arizona per creare le forme all'interno
delle quali viene gettato il cemento. Una volta induriti gli elementi
cementizi, essi possono essere assemblati in strutture anche molto
complesse. L'architettura di questo luogo
esalta la percezione con
forme morbide alla vista e al tatto, con accostamenti audaci di
colori e talvolta con l'aggressività delle forme".
Una città
ancora incompleta, a quasi 50 anni dall'inizio della sua costruzione e a sei dalla morte del suo fondatore,
abitata stabilmente solo da
un centinaio di persone, ma, del resto,
quanti abiterebbero davvero in un'utopia? Una città
strana e
suggestiva, che, però come scrive Luigi Prestinenza Puglisi,
su Artribune, potrebbe tramutarsi nell'immaginario anche "in incubi orwelliani, tanto che gli autori di romanzi di fantascienza
ne utilizzavano i progetti per prefigurare
le inquietanti città del
futuro destinate a sorgere sulle ceneri delle nostre megalopoli.
Penso per esempio al quartiere della Tyrell Corporation nel caos
della California immaginata da
Ridley Scott per il film
Blade
Runner".
Mi piace concludere questo piccolo articolo con
quello che Paolo Soleri ha detto in una bella intervista che ho
trovato
su un blog di Repubblica: "Quando ero bambino,
vivevo a
Torino,
la città era il mio regno, il mio campo di gioco, il mio
territorio da esplorare. Giocavo per strada, potevo facilmente
percorrere la città in bicicletta, intorno c'erano le
campagne circondate dalle montagne ed
era facile immergersi nella
natura... Al contrario Phoenix è pericolosa per i bambini che sono
costretti a giocare in casa davanti al PC o alla televisione. In una
città così ti puoi muovere solo con l'automobile perché
tutto è
distante, anche solo andare a prendere il pane o il latte diventa un
problema". Nelle città moderne, spiegava Soleri, "per
strada non c'è nulla di accogliente e ospitale, se non uno spazio
ostile creato a misura di macchina che si ripete sempre uguale a se
stesso, non si può passeggiare in sicurezza perché non sempre ci
sono i marciapiedi, si va a fare la spesa in automobile e gli spazi
dove
la gente si incontra non sono le piazze e le strade ma i malls".
Cosa ci sarà in questo scacchiere romano lucido e
razionale, che rende poi così visionari.
Arcosanti ha un sito web, in inglese,
www.arcosanti.org.
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