Nicoletta Daldanise, nata a Napoli, 39 anni, laureata in Lettere
curatrice d'arte e proprietaria della Guest House Portmanteau
Sì allo sviluppo, al futuro, agli
orizzonti da scoprire; No allo sconosciuto, all'incertezza, alla novità. Se n'è parlato tanto in questi mesi e, guardando le piazze e ascoltando i discorsi, mi è venuto in mente un magico verso di Dante Alighieri, che ha definito l'Italia il Bel Paese dove il sì suona
. Mi è sempre piaciuta l'idea di una terra allora divisa in tanti Stati, rivalità e avversioni e unificata dal suo monosillabo più ottimistico, agli albori del volgare. Così è nata l'idea di questa sezione TorineSÌ, per scoprire quando i torinesi dicono sì, uscendo dalle loro zone comfort, e quali forze ed energie trovano per accettare le sfide dei loro sì. Le domande sono uguali per tutti gli intervistati e grazie a tutti i torinesi, nati qui o arrivati per scelta, per le loro risposte.
- Pensa che sia più facile dire sì o
no?
Non ho dubbi, per me è più facile
dire di sì, perché significa aprirsi al mondo, alla curiosità,
gustarsi il sapore delle scoperte. Dire no significherebbe escludere
una possibilità, la ricchezza delle sfumature; se dici di no sai già
come va a finire. Magari ci vuole coraggio a dire di sì e di no,
dipendendo dalle situazioni, ma in genere preferisco spendermi e
rischiare.
- Il sì più folle, quello che ha
detto senza pensarci, e quello più faticoso?
Il mio sì più folle... mi faccio prendere dall'entusiasmo
per natura, per cui mi capita spesso di fare questo tipo di scelte.
Ma forse il mio sì più folle e quello più faticoso diventano la stessa cosa pensando alla mia vita imprenditoriale. Io sono una
curatrice d'arte e mi sono lanciata in una sfida imprenditoriale, con
Portmanteau, B&B a Valdocco (Rotta su Torino ne ha parlato
qui), in un
campo che non era il mio. Mi sono trovata in un mondo nuovo, in cui ho cercato di inserire elementi che
facevano parte del mio background. E per di più ho scelto
di aprire Portmanteau in una zona non propriamente turistica. Una
doppia sfida che mi ha dato e mi sta dando soddisfazioni.
- C'è un sì di cui si sente
orgoglioso e uno che, ripensandoci, non direbbe? Quali sono?
Domanda complicatissima! Ma forse posso dire che i sì
che mi rendono orgogliosa sono quelli che dico all'attivismo civico.
Tutte le cause che sposo fanno parte del mio modo di essere e
consiglio a tutti come esperienza il declinare le proprie difficoltà
in cause da prendersi a cuore, a vantaggio della comunità in cui si
vive. Trovo che sia una risorsa di grande forza, perché da una parte
condividi le tue difficoltà con altre persone e, condividendole, è
più facile trovare soluzioni, dall'altra dai un senso alle tue
stesse difficoltà perché ti muovi non solo per te stessa, ma anche
per gli altri. Un sì che non direi più,
tornassi indietro, è ai progetti culturali ai quali ho lavorato e per i quali non sono
stata pagata o sono stata sottopagata. Sono errori di inesperienza, sono sì che non bisogna dire.
- Ha mai identificato in cosa
consista la sua zona comfort? Cosa ha implicato uscirne, le volte che
l'ha fatto?
La mia zona di comfort è uscire dalla
mia zona di comfort, sono stata abituata dai miei genitori a superare
i limiti caratteriali e a provare cose nuove. Ho più
difficoltà a radicarmi in un'idea o in una professione che a mettermi alla prova. In questo senso insistere
nell'idea di una guest house con uno spazio incontro, nello stesso
quartiere, invece di cambiare città, è stata un po' una sfida.
Uscire dalla zona comfort permette di scoprire nuove qualità di te
stesso, conosci altre qualità che non pensavi di avere e nelle
situazioni critiche è una notevole aiuto al rinnovamento.
- Ci
sono dei sì detti da Torino, durante la sua storia, di cui si sente
orgoglioso e in cui si riconosce?
È una domanda che permette di
muoversi attraverso il tempo, per cui è difficile trovare una sola
risposta. Secondo me Torino ha una vocazione alla sperimentazione che
è nelle mie corde ed è il motivo per cui ho scelto di fermarmi. Sono arrivata quando Torino stava uscendo dalla gloria delle Olimpiadi del
2006, era di nuovo un po' perplessa sulla sua identità, ma quello
che mi è piaciuto subito è stata l'accettazione a cercare questa
nuova identità dinamica. I torinesi non si rendono conto, ma il genius loci di questa città è la volontà di migliorarsi, sperimentare; la sua scelta di seguire i tempi e cambiare vocazione mi piace molto e mi stimola. Un episodio recente che mi ha molto colpito e in cui ho visto Torino dire sì con forza è stato quando c'è stato il rischio di perdere il Salone del Libro. Un episodio, che ha unito anche enti di diverso colore, come il Comune e la Regione, che per me è stato molto significativo, non è così scontato che una città lotti così come ha fatto Torino per conservare un evento e dandogli poi nuova forza, visto il successo delle ultime edizioni.
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