La Torino che sorgeva
lungo le rive del
Po, fuori le mura, era formata da
borghi molto umili. Si pensi al
Moschino, di cui si è parlato tante volte su Rotta su Torino (vedi
qui,
qui e
qui), allo
stesso
Borgo Po, che ha avuto un diverso destino, diventando una
delle zone più apprezzate di Torino. Sul lato meridionale della Gran
Madre,
intorno al Settecento, un primo gruppo di case diede vita al
Borgo Rubatto, che prese nome, sembra,
dalla famiglia un tempo
proprietaria di quei luoghi.
Siamo allo
sbocco della Val Salice,
sulle rive del Po, lungo quello che sarebbe poi diventato
corso Moncalieri: qui abitavano
lavandai e barcaioli, che
avevano nel fiume la
propria fonte di sostentamento. I primi lavavano
i panni sporchi dei benestanti e li disponevano ad asciugare sui
prati o appesi lungo le rive, i secondi trasportavano le merci da un
lato all'altro del fiume o tra le diverse località rivierasche.
Nei
giorni festivi arrivavano da Torino famiglie e compagnie per i primi
pic nic e pare fossero molto diffusi i
balli campestri, cosa che
permise
l'apertura di numerose trattorie, dando vita a una
tradizione che perdura ancora oggi:
l'uso della collina per il tempo
libero e la presenza di locali in cui mangiare e divertirsi.
Come
mi è già capitato di scrivere, la povertà di questi borghi,
intorno a Torino, non offriva una bella immagine di ingresso alla
capitale (ma è anche vero che
la miseria e le disuguaglianze sociali
erano diffuse
in tutte le città d'Europa, dunque i viaggiatori del
tempo non dovevano essere impressionati quanto noi a vedere lo
splendore del barocco di corte, in contrasto con le casupole dei
lavandai sul Po). Le fotografie dell'articolo danno un'idea del
Borgo
Rubatto alla fine dell'Ottocento: edifici spogli, a poche decine di metri dalla riva, con tutto quello che significava nelle piene, lavandai al lavoro sul fiume,
il richiamo di una trattoria che pubblicizza i suoi piatti di pesce
fresco.
Dietro alla Gran Madre, nella vista dall'altra riva del Po,
si intravedono
Villa della Regina e il
grande ottagono de La Salle,
in costruzione; in realtà era la
base di una grande chiesa dedicata
a San Giuseppe, voluta da
Giuseppe Ortalda e affidata all'
architetto
Giuseppe Bertinaria, per
rivaleggiare con la Basilica di Superga e
dialogare con le vicine
Santa Maria del Monte dei Cappuccini e
Gran
Madre. "Il progetto, secondo le intenzioni comuni del prete e
del professionista, contemplava un'imponente base ottagonale di una
ventina di metri sopra la quale avrebbe dovuto levarsi una
cupola
sormontata da una guglia alta 100 metri, vagamente simile a quella
antonelliana di
San Gaudenzio a Novara" scrive Torino Storia nel
suo sito web. Il tempio
non fu mai completato per la morte del suo
architetto e la mancanza di fondi. Meglio così, a volte.
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