Marcella Pralormo, nata a Torino, 51 anni, laureata in Storia dell'Arte
storica dell'arte, direttrice della Pinacoteca Agnelli dal 2002
Sì allo sviluppo, al futuro, agli
orizzonti da scoprire; No allo sconosciuto, all'incertezza, alla
novità. Se n'è parlato tanto in questi mesi e, guardando le piazze
e ascoltando i discorsi, mi è venuto in mente un magico verso di
Dante Alighieri, che ha definito l'Italia il Bel Paese dove il sì
suona
. Mi è sempre piaciuta l'idea di una terra allora divisa in
tanti Stati, rivalità e avversioni e unificata dal suo monosillabo
più ottimistico, agli albori del volgare. Così è nata l'idea di
questa sezione TorineSÌ, per scoprire quando i torinesi dicono sì,
uscendo dalle loro zone comfort, e quali forze ed energie trovano per
accettare le sfide dei loro sì. Le domande sono uguali per tutti gli
intervistati e grazie a tutti i torinesi, nati qui o arrivati per
scelta, per le loro risposte.
- Pensa che sia più facile dire sì o
no?
E' più facile dire sì, perché ti apre a nuove possibilità, ma non dimentichiamo che è necessario anche saper mettere paletti e dire, ogni tanto, qualche no ben detto, che può avere un valore altrettanto importante.
- Il sì
più folle, quello che ha detto senza pensarci, e quello più
faticoso?
Il mio sì più folle, che ho detto di getto, è stato a mio marito, quando mi ha proposto di sposarlo, nel Museo Guggenheim di
Bilbao: i Musei sono proprio nella mia vita! Eravamo
davanti a un'opera di Richard Serra e lui mi ha proposto di sposarci e io ho detto sììì! Si sono voltate anche le guardie del Museo, un sì spontaneo e gioioso! È
stato un sì folle perché non era un momento di grandi certezze economiche per noi, ma viviamo un'epoca in cui si sta insieme anche se non ci sono più sicurezze sufficienti, è stato un sì folle in questo senso. Il sì più
faticoso è il sì alla Pinacoteca Agnelli: ero alla GAM, ai tempi di Giovanna Cattaneo e Nino Castagnoli, un momento felicissimo del Museo, un ambiente di lavoro che trovavo
perfetto per me. Quando mi è arrivata la proposta di un
colloquio con l'Avvocato Agnelli per dirigere la Pinacoteca, per me è
stato difficile. Non potevo dire di
no, perché era una di quelle occasioni bellissime che non passano
più, ma è stato faticoso dire di sì, perché dovevo lasciare un
ambiente di lavoro che era un po' come una famiglia. Ed è stato poi un sì felice, che mi ha offerto un'occasione unica per partecipare alla nascita di un Museo, creare un gruppo di lavoro e organizzare il suo cammino.
- C'è un sì di cui si sente orgogliosa e
uno che, ripensandoci, non direbbe? Quali sono?
Il sì di cui sono
orgogliosa è la nascita del Centro per la Creatività, che abbiamo
inaugurato a ottobre in Pinacoteca. È un Centro in cui i bambini
vengono al sabato e alla domenica, per sviluppare la
creatività, considerata anche dalla UE un elemento di istruzione
fondamentale, sia a livello formale che informale, sottolineando
l'importanza di questi spazi non convenzionali. Lavoro a questo
centro da due anni e la sua apertura è stata una grande
soddisfazione, ne sono molto orgogliosa. Per i sì che non direi più,
penso alle persone o agli enti che vorrebbero utilizzare a proprio
favore il mio nome o quello della Pinacoteca, legata agli
Agnelli, senza dare in cambio qualcosa; mi sono trovata a dire di
sì a collaborazioni che poi sono state deludenti e mi sono accorta
che sarebbe stato meglio dire di no, ma capita a tutti di sentirsi
utilizzati, in qualche modo, si rimane male al momento e poi si va
avanti. Sono lezioni da cui si apprende e io ho imparato a scremare
di più.
- Ha mai identificato in cosa consista la
sua zona comfort? Cosa ha implicato uscirne, le volte che l'ha
fatto?
La mia zona comfort è l'organizzazione, mi piace avere il
piano B per gli imprevisti, avere chiari tutti gli step di un
progetto. Però quando esco da questo schema mi succedono cose belle,
come l'ultima volta che sono andata a Parigi, per la mostra su Le
Corbusier che stiamo preparando in Pinacoteca. Una sera stavo
mangiando da sola al bancone di un ristorante, si siede vicino a me
una signora e iniziamo a chiacchierare; scopro così che è una
grande collezionista di Mollino, che viene spesso a Torino e siamo
rimaste che la prossima volta che vado a Parigi andrò a casa sua a
scoprire i pezzi della sua collezione di Mollino. Questo per dire che
se lasci spazi all'imprevisto possono nascere nuove cose, magari una
mostra, una conferenza, altre occasioni; in tutti i casi è stato un
bell'incontro con una signora francese che in piena Parigi mi
ha parlato con entusiasmo di Torino e di Mollino, un momento
d'orgoglio!
- Ci sono dei sì detti da Torino, durante la sua
storia, di cui si sente orgogliosa e in cui si riconosce?
Sono i
sì legati alle aperture dei nuovi Musei. Penso alla Fondazione
Sandretto, alla Fondazione Merz, alla Pinacoteca Agnelli, al PAV. In
questi ultimi anni, dall'inizio del secolo, c'è stata la nascita e
crescita di nuovi Musei, sono molto orgogliosa del sistema dell'arte
contemporanea e di tutto il sistema museale torinese. Penso anche al bellissimo crowdfunding di
Palazzo Madama per acquistare il servizio di porcellana di D'Azeglio,
che dà una misura della passione dei torinesi e di quanto siano affezionati ai
loro Musei. Ne sono molto orgogliosa, perché, in un momento in cui
la cultura e i Musei sembrano in secondo piano rispetto ad altro, quando è il momento il torinese sa dire di sì.
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