Angela Tomasello, nata a Catania, 44
anni, laureata in Architettura,
architetta, fondatrice, con Paolo Delponte, dello studio
d'architettura Unduo
Sì allo sviluppo, al futuro, agli
orizzonti da scoprire; No allo sconosciuto, all'incertezza, alla
novità. Se n'è parlato tanto in questi mesi e, guardando le piazze
e ascoltando i discorsi, mi è venuto in mente un magico verso di
Dante Alighieri, che ha definito l'Italia il Bel Paese dove il sì
suona. Mi è sempre piaciuta l'idea di una terra allora divisa in
tanti Stati, rivalità e avversioni e unificata dal suo monosillabo
più ottimistico, agli albori del volgare. Così è nata l'idea di
questa sezione TorineSÌ, per scoprire quando i torinesi dicono sì,
uscendo dalle loro zone comfort, e quali forze ed energie trovano per
accettare le sfide dei loro sì. Le domande sono uguali per tutti gli
intervistati e grazie a tutti i torinesi, nati qui o arrivati per
scelta, per le loro risposte.
- Pensa che sia più facile dire sì o
no?
Dipende dalle circostanze, nella mia quotidianità, nella mia
professione, che ormai invade anche piacevolmente molta parte della
mia vita privata, mi vengono richiesti continuamente i sì e i no.
Credo che sia più facile dire di no, perché il no limita rischi e
imprevisti, rende tutto più facile. Come professionista è ovvio che
sono, che siamo, come Unduo, portati per attitudine e per passione a
cercare nuove sfide, cambiare orizzonti, scoprire e sperimentare.
Quindi è più facile dire di no, ma il sì fa parte poi del nostro
quotidiano per nostra scelta: il no alla fine annoia.
- Il sì più
folle, quello che ha detto senza pensarci, e quello più faticoso?
Penso che il sì più folle sia stato accettare di allestire uno
spazio per il Salone del Mobile di Milano in 48 ore. Una cosa
massacrante, abbiamo praticamente vissuto in quello spazio per due
giorni e due notti; alla fine è stato anche bello, perché per
natura lavoriamo su tempi lunghi e invece questa è stata una vera e
propria sfida. Il sì più faticoso è quello che dovevo dire ogni
giorno nei primi anni della libera professione, anni molto belli e
gratificanti, ma anche terribili per ritmi e impegno. Non
rifiutavamo mai nessun lavoro, prendevamo tutto, per imparare, crescere e farci
conoscere, per poi arrivare a dire qualche no. Ma è stato davvero
molto faticoso.
- C'è un sì di cui si sente orgogliosa e uno che,
ripensandoci, non direbbe? Quali sono?
Sono orgogliosa dei sì detti alla
collaborazione con MinD e Toyssimi, che ci hanno portato fuori dal nostro ambito di lavoro, in territori sociali che ci interessano molto. Toyssimi organizzava laboratori creativi
nell'Ospedale Regina Margherita, in cui noi e altri designer
lavoravamo con i ragazzi ricoverati. MinD era un workshop per
sperimentare progetti partecipati nei luoghi del disagio mentale.
Sono state esperienze anche faticose, ma ne sono davvero orgogliosa.
Non riesco a pensare a un sì che non direi, perché in realtà sono
i no che oggi non direi, non i sì. Ho detto no all'Erasmus, a
esperienze di lavoro all'estero, abbiamo investito tanto su Torino e dintorni e meno su un raggio più ampio. Ripensandoci, sono cose a cui direi sì.
- Ha mai identificato in cosa consista la
sua zona comfort? Cosa ha implicato uscirne, le volte che l'ha
fatto?
In Unduo siamo complementari, per questo ci siamo imposti di uscire dallo schema "facciamo quello che stabiliscono le nostre attitudini", proprio per metterci alla
prova ed evitare la noia di fare solo quello che sappiamo fare per inclinazione personale. Quindi esco dalla mia comfort zone tutti i giorni e in questo
modo, cosa che ci diverte molto, combattiamo anche gli stereotipi di
genere: tanti clienti pensano che in cantiere debba andare Paolo e
che io debba occuparmi delle questioni decorative. No, questa cosa la
evitiamo, grazie: siamo intercambiabili, quindi succede anche che in cantiere e a discutere con l'idraulico ci vada io, mentre Paolo si occupa di scegliere la carta da parati.
- Ci sono dei sì detti da Torino, durante la sua storia, di
cui si sente orgogliosa e in cui si riconosce?
Se pensiamo agli
ultimi anni, la risposta più ovvia sono le Olimpiadi del 2006, è
inevitabile, ma preferisco rispondere pensando all'architettura, che
è il mio ambito e la mia passione. Penso ai sì detti e che hanno
plasmato lo spirito urbano. Il primo alla trasformazione della città in capitale, con
l'arrivo dei grandi architetti, da Castellamonte in poi, chiamati a
Corte per disegnare la città barocca che conosciamo. Poi Alessandro
Antonelli, che grazie alla libertà di culto riconosciuta nello
Statuto Albertino, ha accettato di costruire una sinagoga, diventato
la Mole, nostro simbolo. Tanti sì importanti, fino all'ultimo,
quello che ha introdotto un grattacielo nella trama cittadina. I sì
alle sfide architettoniche, a questi interventi che ancora adesso
contraddistinguono Torino, sono quelli che amo di più.
che bella questa intervista!
RispondiEliminaGrazie, Raffaella! e grazie ad Angela che ha dato belle risposte!
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