Luca Iaccarino, nato
a Torino, 47 anni, laureato in Economia e Commercio
giornalista e
scrittore (tra i suoi libri, Qualcuno sta uccidendo i più grandi cuochi di Torino)
Sì allo sviluppo, al futuro, agli
orizzonti da scoprire; No allo sconosciuto, all'incertezza, alla
novità. Se n'è parlato tanto in questi mesi e, guardando le piazze
e ascoltando i discorsi, mi è venuto in mente un magico verso di
Dante Alighieri, che ha definito l'Italia il Bel Paese dove il sì
suona. Mi è sempre piaciuta l'idea di una terra allora divisa in
tanti Stati, rivalità e avversioni e unificata dal suo monosillabo
più ottimistico, agli albori del volgare. Così è nata l'idea di
questa sezione TorineSÌ, per scoprire quando i torinesi dicono sì,
uscendo dalle loro zone comfort, e quali forze ed energie trovano per
accettare le sfide dei loro sì. Le domande sono uguali per tutti gli
intervistati e grazie a tutti i torinesi, nati qui o arrivati per
scelta, per le loro risposte.
- Pensa che sia più facile dire sì o
no?
Mi è più facile dire sì, sono un curioso di natura.
Solo negli anni ho imparato a moderarmi, ma preferisco i rimorsi ai
rimpianti.
In generale, penso che sia più difficile
cambiare che tenersi lo status quo: mi sembra sia la storia
dell'umanità, per lo meno dell'Italia, dove sono più i momenti di
conservazione che di trasformazione.
- Il sì più folle, quello che
ha detto senza pensarci, e quello più faticoso?
Il sì più
folle è stato quando mi hanno chiesto se ci buttavamo con il
parapendio e io, che non mi ero mai alzato più di un metro da terra
e non ho lo sport tra le mie passioni, ho detto subito di sì; con il
senno di poi mi è proprio piaciuto l'aver detto subito sì, senza
pensare "oh mamma mia!"
Il sì più faticoso l'ho detto qualche anno
fa, quando mi hanno fatto una proposta lavorativa rivoluzionaria, che mi avrebbe costretto a buttare via tutto
quello che avevo costruito, per entrare in un mondo completamente
nuovo e dissi di sì. Fu molto faticoso perché coinvolgeva anche la
mia famiglia, il mio tutto, si trattava di andare in giro per
il mondo. Dissi di sì con grande fatica, poi la cosa non è andata
in porto, ma io avevo accettato la sfida.
- C'è un sì di cui si sente
orgoglioso e uno che, ripensandoci, non direbbe? Quali sono?
È
una cosa di qualche anno fa: ho accettato di fare un TED sulle trattorie, 8 minuti di monologo a memoria su un palco. Una cosa che non avevo mai fatto, non ho difficoltà a parlare in pubblico, ma credo fosse dai tempi delle medie che non imparavo cose a memoria. Sono orgoglioso di aver accettato la sfida e del risultato, è stato bello.
I sì che oggi non direi sono
tanti, sempre per il fatto che ne dico tanti per natura. Parafrasando
Jep Gambardella de La grande bellezza, che dice "Sono troppo vecchio per fare
cose che non ho voglia di fare", direi "Sono troppo
vecchio per fare cose che non mi insegnano niente e che non mi facciano crescere".
Ho capito che tutte le volte che dico sì a qualcosa che non mi fa crescere sto sbagliando; sono diventato più selettivo, nel senso che dico
di sì a quello che mi stimola e che mi sfida, che mi faccia
crescere, insomma.
- Ha mai identificato
in cosa consista la sua zona comfort? Cosa ha implicato uscirne, le
volte che l'ha fatto?
La mia zona comfort è nelle cose che so
fare, ovvero il mio mestiere, che amo e faccio da tanti anni, la mia routine. Cerco di uscirne in modo scientifico
piuttosto spesso: tutte le volte che mi si presenta l'occasione di
fare qualcosa che non ho mai fatto, e che ritengo di poter fare, mi
piace sfidarmi. Più mi propongono cose inusuali, difficili, curiose,
più mi interessano.
- Ci sono dei sì detti da Torino, durante la
sua storia, di cui si sente orgoglioso e in cui si riconosce?
Ne
indico tre, degli ultimi tre secoli., Il primo sì è la Mole
Antonelliana, perché ho sempre trovato come grande insegnamento il
fatto che nel 2020 l'edificio più audace della nostra città sia
stato costruito alla fine del XIX secolo. È sconcertante che si sia
voluto che il grattacielo di Intesa Sanpaolo fosse più basso della
Mole. 150 anni dopo non vuoi superare quel record? Siamo la città da
cui è partito il Risorgimento, la Mole Antonelliana doveva essere
una sinagoga, quindi Torino era quasi rivoluzionaria, la stessa FIAT,
prima di diventare conservatrice, ha fatto una sorta di rivoluzione.
Non siamo nati conservatori, lo siamo diventati e così rischiamo di
cristallizzarci.
La metropolitana è l'altro sì che amo, perché
finalmente la città è riuscita a riprogettarsi, attraverso una
grande opera indirizzata alla mobilità e alla sostenibilità. Il terzo
sì che mi piace molto, e che vedo radicato nei secoli, è l'integrazione, in
tutte le sfaccettature. Questa città davanti al confronto tra
culture e alla composizione dei conflitti non si è mai tirata
indietro. È un aspetto di Torino che mi piace molto, perché sa dire
sì al dialogo.
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