I Musei torinesi
hanno riaperto le porte
dopo la settimana di chiusura dovuta
all'emergenza
coronavirus. Sono probabilmente
uno dei pochi posti che
si possono frequentare con il famoso metro di distanza per e
vitare il potenziale contagio. Così un
paio di giorni fa, essendo in centro per commissioni varie, ho
approfittato dell'
assenza di code e sono entrata nel
Museo Egizio.
Mancavo dall'inaugurazione
della mostra Archeologia invisibile, circa un anno fa, ormai.
Ma al Museo Egizio entro sempre così, un po' per caso, un po' perché
sono in zona e mi sembra una buona idea immergermi di
nuovo in una
cultura così affascinante e così antica (alzi la mano
chi non ha sognato di diventare archeologo alle elementari, dopo aver
letto le prime storie dei faraoni e della Valle dei Re!).
Stavolta
il Museo era
quasi completamente vuoto, le sale a
completa
disposizione dei pochissimi visitatori: non siamo mai stati più di
quattro o cinque nelle diverse sale. Un'occasione davvero unica per
fermarsi davanti alle vetrine preferite, senza dover lottare per la
loro conquista con gli altri utenti. Così ho potuto visitare per la
prima volta
le nuove sale, dedicate alla
storia del Museo,
che inizia addirittura nel Cinquecento. I
pannelli informativi
indicano una data precisa, il
1563, quando Emanuele Filiberto porta
la capitale da Chambéry a Torino: "Il clima generale del
periodo spinge le nobili casate a cercare
nella religione e nella
mitologia le proprie origini, nobilitando la fondazione delle loro
capitali. La scoperta, durante i lavori di fortificazione della città
di Torino del 1567, di una base di statua di epoca romana con
un'iscrizione in latino che suggerisce la
presenza di un santuario
dedicato a Iside, dà agli storici di Corte lo spunto per concepire
le origini egizie della città. In tale contesto, probabilmente
tra
il 1626 e il 1630, i Savoia acquistano una
collezione di antichità
dai Gonzaga di Mantova, tra cui spicca la
Mensa Isiaca". Ancora
una volta è la
passione per il collezionismo dei Savoia a tracciare
un
destino culturale per Torino: da quell'embrione, la trasformazione
della loro capitale in
punto di riferimento internazionale
dell'antica civiltà del Nilo.
I pannelli espositivi raccontano
la storia del Museo, tappa per tappa, dal pionerismo dell'Ottocento
agli scavi dell'inizio del Novecento, dagli allestimenti nel Palazzo
dei Nobili fino alle due guerre e alla necessità di salvare
i
reperti dai bombardamenti (sapevate che tante statue furono
trasportate al
Castello di Agliè per sfuggire alle bombe britanniche
e alle possibili razzie naziste?). C'è anche u
na sala che ricrea il Museo
dell'Ottocento, con le sue vetrine ricavate in mobili di legno, la
mancanza di didascalie, l'ordine sparso e non necessariamente
coerente per il pubblico profano, un Museo pensato
più per i
conoscitori che per la divulgazione. Una bella introduzione alle sale
vere e proprie del Museo.
La
mancanza delle folle mi ha permesso
di attardarmi davanti agli
oggetti rinvenuti nella tomba di Kha e di
sua moglie Merit: i tre sarcofaghi di lui, pesanti e pieni di
iscrizioni rituali, preziosi nei loro materiali e nel loro
significato, di protezione e di tempio in cui iniziare il cammino
verso Osiride; le eleganti brandine in cui riposare, le sediole, i
vasi,
l'idea di una vita agiata e raffinata sulle rive del Nilo.
Poche sale dopo, i
tantissimi sarcofaghi, spesso riadattati a causa
di morti inaspettate, costi, necessità. Sono passata oltre davanti
alle
mummie, ma per una forma di rispetto, più che per paura. Dietro
quelle bende c'è
una persona che ha amato e si è emozionata, 3-4000
anni fa, che
ha creduto in un Aldilà a cui arrivare avvolto nelle
bende e chiuso in un sarcofago: chi siamo noi per non rispettare le
sue credenze e lasciarlo esposto, come lui/lei non avrebbe voluto? Me
lo chiedo sempre, davanti alle mummie chiuse nelle vetrine,
soprattutto pensando alla più importante di tutte quella di
Ramesse
II, al Museo del Cairo, che fu forse il più importante faraone
dell'Antico Egitto, adesso esposto alla curiosità del pubblico in un
Museo. Credo sia sempre difficile trovare
un equilibrio tra necessità divulgative e rispetto delle credenze
passate e
non ho le risposte.
Ma è stato
bello potermi perdere
nei pensieri dell'immortalità e nell'aspirazione comune a tutte le
civiltà di
una vita oltre la morte. Forse nessuno ha saputo
esprimerla
con la puntualità e la fiducia degli Egizi, che hanno
dedicato ai riti funebri lunghissimi papiri, anch'essi esposti nel
Museo torinese. E pensando
alle morte stagioni, all'immensità e alla
dolcezza del naufragare in quel mare (sì, Leopardi viene in mente
spesso, guardando vasi, statue, papiri e volti enigmatici), si arriva
alla
Galleria dei Re, scenografico statuario in cui
i faraoni e gli
dei danno un'idea della loro potenza nelle grandi sculture di pietra.
In genere è
affollatissima, un paio di giorni fa eravamo
in quattro
o cinque, così c'è stato
tutto il tempo per guardare i
volti di questi sovrani antichi, i simboli del loro potere sull'Alto
e Basso Egitto.
Si dovrebbe entrare spesso nel Museo Egizio di
Torino, per tutti i pensieri che regala grazie alla forza della
civiltà che conserva e che racconta. E in questi giorni in cui si
cercano
attività alternative, che consentano la distanza di un metro
dalle altre persone,
una visita ai Musei è una gran bella idea. Se
potete, entrate anche voi e
perdetevi tra faraoni e dei del Nilo.
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