Marzo è il mese fatale dell'Unità
d'Italia. Il 14 marzo 1820
nacque Vittorio Emanuele II di Savoia,
sovrano del Regno di Sardegna, che si mise alla testa del movimento
unitario; il 17 marzo 1861 fu
proclamato a Torino il Regno d'Italia,
con il primo discorso di re Vittorio Emanuele II alla Nazione; il 22 marzo ci fu
la devastante sconfitta di Novara, che pose fine alla Prima Guerra d'Indipendenza e che portò sul trono Vittorio Emanuele II, iniziando, di fatto, il Risorgimento. Il 24
marzo 1850 venne firmato
il Trattato di Torino, che strappava al
Regno di Sardegna Nizza e la Savoia, per consegnarli alla Francia,
dopo secoli di storia comune (e sia a Nizza che nella Savoia il
movimento irridentista per il ritorno all'Italia è stato attivo fino
a pochi decenni fa). Il 27 marzo 1861, 159 anni fa a oggi, il conte
Camillo Benso di Cavour spiegava nella prima capitale del Regno
d'Italia perché l
a capitale doveva essere spostata a Roma. E nel suo
discorso pronunciò quella frase che sarebbe rimasta a spiegare, da
allora in poi, i rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica:
"
Libera Chiesa in libero Stato".
Roma dev'essere
capitale d'Italia, non solo per la sua storia, ma anche perché se
Roma non fosse "riunita all'Italia come sua capitale,
l'Italia
non potrebbe avere un assetto definitivo, la pace non si potrebbe
considerare come definitivamente assicurata, non si otterrebbe il
consenso del mondo cattolico, e di quella potenza che crede dovere o
potere rappresentare più specialmente il mondo cattolico, alla
riunione di Roma all'Italia" dice Cavour. E poi, dopo aver
spiegato come si debba difendere l'interesse italiano nella
proclamazione di Roma come capitale del Regno, spiega come la Città
Eterna
non possa diventare capitale senza aver assicurato al
Pontefice l'indipendenza nelle sue funzioni di leader religioso:
"L'uomo che vive tranquillo a
sua casa, che non ha nè debiti, nè nemici, mi pare
mille volte più
indipendente d'un ricchissimo proprietario di latifondi, che ha
sollevato contro di se l'animo di tutti i suoi contadini, e che non
può escire se non circondato da bersaglieri e soldati. Mi pare quindi che noi
dobbiamo avere l'assenso dei cattolici
di buona fede su questo punto. Rimane a persuadere il pontefice che
la Chiesa può essere indipendente, perdendo il potere temporale. Ma
qui mi pare che, quando noi ci presentiamo al sommo pontefice, e gli
diciamo : santo padre,
il potere temporale per voi non è più
garanzia d'indipendenza; rinunziato ad esso, e noi vi daremo quella
libertà che avete invano chiesta da tre secoli a tutte le grandi
potenze cattoliche; di questa libertà voi avete cercato strapparne
alcune porzioni
per mezzo di concordati, con cui voi, o santo padre,
eravate costretto
a concedere in compenso dei privilegi, anzi, peggio
che dei privilegi, a concedere
l'uso delle armi spirituali alle
potenze temporali che vi accordavano un po' di libertà ; ebbene,
quello che voi non avete mai potuto ottenere da quelle potenze, che
si vantavano di essere i vostri alleati e vostri figli divoti, noi
veniamo ad offrirvelo in tutta la sua pienezza; noi siamo
pronti a
proclamare nell'Italia questo gran principio:
Libera Chiesa in
libero Stato".
E poi Cavour si lancia in
uno dei discorsi più
belli del liberalismo italiano: "I vostri amici di buona
fede riconoscono come noi l'evidenza, riconoscono cioè che
il potere
temporale quale è non può esistere. Essi vengono a proporvi delle
riforme, che voi qual pontefice non potete fare; vengono a proporvi
di promulgare degli ordini, nei quali vi sono dei principii che non
si accordano colle massime, di cui dovete essere il custode; e questi
vostri amici insistono sempre e continuano a rimproverare la vostra
ostinazione: voi opponete pertinace resistenza, e fate bene; io non
vi biasimo, quando a coloro che vi rimproverano di non avere un
esercito fondato sulla coscrizione, rispondete che non potete imporre
il celibato coattivo a giovani dai 20 ai 25 anni, in quell'età,
cioè, delle più forti passioni, io non vi rimprovero; quando
negate di proclamare voi la libertà religiosa, la libertà
d'insegnamento, io vi comprendo. Voi dovete insegnare certe dottrine,
e quindi
non potete dire che sia bene che si insegni da tutti ogni
specie di dottrina; voi non potete accettare i consigli dei vostri
amici di buona fede, perchè essi vi chieggono quello che non potete
dare, e siete costretto a rimanere i
n questo stato anormale di padre
dei fedeli, obbligato a
mantenere sotto il giogo i popoli con delle
baionette straniere, oppure ad
accettare il principio di libertà,
lealmente, largamente applicato nella nazione primogenita della razza
latina, nel paese dove il cattolicismo ha la sua sede naturale. A me
pare, o signori, essere impossibile che questo ragionamento, questa
proposta fatta con tutta sincerità, con tutta lealtà non venga
favorevolmente accolta. Che queste nostre proposte siano sincere, non
può esser messo in dubbio. Io non parlo delle persone; tuttavia io
potrei ricordare a quelli fra i miei colleghi, che facevano parte
degli altri Parlamenti, io potrei ricordare che fino dall'anno 1850,
pochi giorni dopo essere stato assunto a membro del Consiglio della
Corona, io francamente proclamava questo principio, quando
r
espingeva la proposta d'incamerare i beni del clero e di renderlo
salariato e dipendente dallo Stato. Io ricorderò, a sostegno della
sincerità delle nostre proposte, che esse sono conformi a tutto il
nostro sistema. Noi crediamo che
si debba introdurre il sistema della
libertà in tutte le parti della società religiosa e civile; noi
vogliamo
la libertà economica; noi vogliamo
la libertà
amministrativa; noi vogliamo la
piena ed assoluta libertà di
coscienza; noi vogliamo
tutte le libertà politiche compatibili col
mantenimento dell'ordine pubblico; e quindi, come conseguenza
necessaria di quest'ordine di cose, noi crediamo necessario
all'armonia dell'edifizio che vogliamo innalzare, che
il principio di
libertà sia applicato ai rapporti della Chiesa e dello Stato".
Pensando alla storia di Torino,
una delle cose che mi rendono più
fiera di questa città è il fatto che sia stata, durante tutta la
sua storia, il
faro del pensiero liberale e laico italiano (e anche
della giustizia sociale conseguente, dai santi sociali in poi).
L'intera seduta del Parlamento italiano, che discusse e votò la
proclamazione di Roma capitale d'Italia è
su storia.camera.it.
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