In passato i matrimoni regali significavano
non solo alleanze strategiche, ma anche
nuove influenze e nuovi costumi. Non c'erano
Kate Middleton,
Letizia Ortiz o
Máxima Zorreguieta in cerca di ascesa sociale attraverso il matrimonio con un principe, ma
principesse di stirpe reale che portavano con sé
un seguito di servitori, artisti, mode e tradizioni capaci di
influenzare lo stile del Paese d'adozione. Un esempio è il
matrimonio di
Carlo Emanuele I di Savoia con
l'
Infanta Catalina Micaela di Spagna, il primo vero "matrimonio del secolo" per il Ducato, con importanti
conseguenze sui costumi e sull'etichetta
della Corte sabauda. Catalina era la secondogenita di
re Felipe II,
il più potente sovrano del suo tempo, sul cui
Impero non tramontava
mai il sole; già solo
questo spiega l'enorme
prestigio che il matrimonio significava. Non che i sovrani sabaudi non
fossero abituati a imparentarsi con i casati più importanti
d'Europa: Carlo Emanuele era figlio di
Margherita di Valois, una
principessa francese, suo padre
Emanuele Filiberto era a sua volta
figlio di una principessa portoghese,
Beatrice d'Aviz, ma il salto di
qualità è del tutto evidente.
Se per Carlo Emanuele il
matrimonio con Catalina implicava
un rapporto privilegiato con l'uomo
più potente del Cinquecento, per l'Infanta, che poteva aspirare a
sposare principi e re, era una sorta di
retrocessione, essendo finita
a regnare in un piccolo Ducato cuscinetto, in lotta tra Francia e
Spagna per la propria sopravvivenza. Sposatasi a 17 anni, l'Infanta era
piuttosto
colta, avendo studiato matematica, filosofia, storia e
letteratura: secondo l'ambasciatore veneziano
Mateo Zane non era
bella come la sorella maggiore
Isabel, e aveva "la
pelle scura
delle mediterranee,
l'incanto e il mistero fiorentino, la
squisitezza francese e questo
qualcosa indefinibile che arriva fino al
cuore". Per l'impetuoso Carlo Emanuele I, fu vederla e
innamorarsene (anche se la fedeltà, come sappiamo, non era qualità
che i sovrani praticassero).
Felipe II, che ebbe le sue figlie
nella prima maturità (si era sposato con
Elisabetta di Valois,
figlia di re
Enrico II di Francia e
Caterina de' Medici e nipote di
Margherita, madre di Carlo Emanuele, a 32 anni), fu sempre un
padre
molto attento e presente, che ebbe una
corrispondenza regolare e
affettuosa con le Infante sposate all'estero. Pur rispettando la propria dignità regale e il rigido cerimoniale degli Asburgo spagnoli, diede
al
matrimonio di Catalina e Carlo Emanuele, in principio matrimonio
politico e di Stato, un
carattere affettuoso. Le nozze furono celebrate a
Saragozza, l'
11 marzo 1585,
rompendo l'usanza del
matrimonio per procura nel Paese della sposa e di lei consegna sulla
frontiera ai rappresentati del marito, per iniziare il viaggio verso
il suo nuovo Paese. Carlo Emanuele fu infatti presente al suo
matrimonio,
accolto da Felipe II in persona, che lo aspettò per ben
mezz'ora all'ingresso della città (ci fu un ritardo della comitiva
piemontese che il re spagnolo non apprezzò), poi trasformò in un
abbraccio paterno il gesto di sottomissione del Duca, che pose il
ginocchio a terra e fece atto di prendergli la mano per baciarla, e
infine invitò il futuro genero a
cavalcare al suo lato, privilegio
concesso a pochi (e che Carlo Emanuele declinò, in segno di
rispetto per la superiorità del futuro suocero). Felipe II
accompagnò personalmente il Duca nelle sue camere e lo invitò poi
ad
assistere alla Messa accanto a lui e ai suoi figli, onori
generalmente non concessi. Perché Felipe fu così affettuoso con il
marito di Catalina? Non fu solo affetto paterno per la figlia
costretta a un matrimonio disuguale: se per Carlo Emanuele l'alleanza
spagnola significava prestigio e potente alleanza, per Felipe era un
altro passo per
consolidare l'egemonia nella penisola italiana e per
assicurarsi
una via sicura per raggiungere i sempre inquieti
possedimenti fiamminghi. Il
do ut des era chiaro, anche se non
esplicito.
L'arrivo di Catalina Micaela nel Ducato di Savoia fu celebrato con
feste e spettacoli in ogni città toccata dagli sposi, dallo sbarco a Nizza fino a Torino (ma quest'idea
di celebrare l'arrivo delle nuove Duchesse con grandi scenografie e
spettacoli fu
una passione di Carlo Emanuele I, che regalò
altrettanta
magnificenza a Cristina di Francia, destinata a sposare
suo figlio Vittorio Amedeo). E segnò
un profondo cambiamento nelle
abitudini e nel cerimoniale della Corte sabauda. Una corte che
Emanuele Filiberto si era impegnato a ricostruire non appena ripreso
possesso del suo Ducato e appena trasferita la capitale a Torino,
perché era
manifestazione implicita della dignità e del prestigio
di ogni sovrano. Il cerimoniale di corte aveva una
forte influenza
francese, ma con Catalina
si impose il gusto spagnolo, che per decenni stabilì i dettagli delle cerimonie dei Savoia.
Il
trattamento
dell'Infanta, che
mantenne il proprio titolo spagnolo anche nella sua
nuova città (era Altezza Reale, suo marito no, essendo semplice
Duca, per quanto regnante),
fu deciso a Madrid e accettato volentieri
da Carlo Emanuele. Catalina
portò con sé a Torino i propri
camerieri e istituì
una propria casa sul modello della Casa della
Regina della Corte spagnola, con rigide gerarchie e con responsabili
nominati da
Felipe II, in testa il
maggiordomo maggiore, l'ambasciatore del re
spagnolo a Torino
Paolo Sfondrato. Carlo Emanuele si
adattò agli usi della moglie, che non volle mai che accusasse il colpo del matrimonio disuguale nelle sue abitudini, e li impose alla propria Corte, che assunse così modi più rigidi e gerarchici. Di Catalina gli ambasciatori veneziani arrivarono a scrivere nei loro rapporti
che "vive alla grande,
come se fosse regina di Spagna
ed è servita allo stesso modo". Furono ancora loro, gli ambasciatori veneziani a sottolineare che Catalina manteneva in pubblico
un riserbo altero, come una principessa spagnola, anche se in privato era più
umana e affettuosa.
Una
dimostrazione
dell'ambizione reale di Carlo Emanuele e Catalina fu il
battesimo del
primogenito Filippo Emanuele, nel 1587. "Tra i partecipanti
alla sfilata, che contò sulle guardie ducali (portando i colori
dell'Infanta), i servitori di Carlo, i cavalieri feudatari dei suoi
territori e le principali istituzioni della capitale, l'autore del
rapporto ufficiale Domenico Bucci sottolineava particolarmente la
vistosità delle donne partecipanti. In particolare, descriveva in
modo dettagliato
i tessuti e i gioielli che adornavano ognuna delle
dame dell'Infanta Catalina, che grazie all'aggiunta di nobili
italiane, arrivavano già a
dodici, numero abituale della casa delle
regine spagnole. Nel bell'articolo
De Madrid a Turín: el ceremonial
de las reinas españolas en la corte ducal de Catalina Micaela de
Saboya,
María
José Del Río
Barredo dà conto dell'
intensa corrispondenza tra Torino e Madrid per
chiedere prima che il principe Felipe e l'Infanta Isabel fossero tra
i tradizionali cinque padrini del principe ereditario e
quindi, avuto il consenso, sul rango dei loro rappresentanti alla
cerimonia e, infine, sul posto che i rappresentanti dei principi
spagnoli avrebbero dovuto occupare durante il battesimo, per dare
loro "il più onorato". "E in questa occasione la
risposta include un
progetto entusiasta sugli spazi rituali più
adeguati per tutti i padrini, molto
del gusto spagnolo nei suoi
termini (separazione tra uomini e donne, con il bambino come asse
rituale delle gerarchie)".
La
morte di Catalina, nel 1597,
dopo 12 anni di matrimonio sostanzialmente riuscito e troppi parti,
non interruppe i legami tra Torino e Madrid: Carlo Emanuele si
preoccupò di far sapere al re che l'affetto proseguiva immutato,
Madrid si occupò di mantenere frequenti contatti con i figli di
Catalina, che trascorsero anche lungo tempo in Spagna. Poi,
Vittorio
Amedeo sposò Cristina di Francia e a Torino arrivò il vento brioso
francese, che portava con sé altre tempeste.
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