Alessandra Siviero, nata a Torino, 48
anni, laureata in Architettura,
architetta e presidente della
Fondazione per l'Architettura / Torino
Sì allo sviluppo, al futuro, agli
orizzonti da scoprire; No allo sconosciuto, all'incertezza, alla
novità. Se n'è parlato tanto in questi mesi e, guardando le piazze
e ascoltando i discorsi, mi è venuto in mente un magico verso di
Dante Alighieri, che ha definito l'Italia il Bel Paese dove il sì
suona. Mi è sempre piaciuta l'idea di una terra allora divisa in
tanti Stati, rivalità e avversioni e unificata dal suo monosillabo
più ottimistico, agli albori del volgare. Così è nata l'idea di
questa sezione TorineSÌ, per scoprire quando i torinesi dicono sì,
uscendo dalle loro zone comfort, e quali forze ed energie trovano per
accettare le sfide dei loro sì. Le domande sono uguali per tutti gli
intervistati e grazie a tutti i torinesi, nati qui o arrivati per
scelta, per le loro risposte.
- Pensa che sia più facile dire sì o
no?
Per il mio modo di essere sono sempre favorevole ai sì, detti
bene, studiati con attenzione, tendo a dirne tanti, probabilmente è
un mio difetto, a volte mi intasano la vita, come conseguenza, ma
sono sempre convinta. Il mio problema è che a mio figlio devo dire
dei no, forse i miei pochi no sono alle persone a cui voglio più
bene.
- Il sì più folle, quello che ha detto senza pensarci, e
quello più faticoso?
Dicendo facilmente sì, ne ho detti tanti folli.
Per esempio, la presidenza della Fondazione per l'Architettura, prima
donna ad arrivare alla carica, è stata una sfida che ho accettato
subito, un sì folle. Un altro recente, che indica però un mio
cambiamento mentale, perché è la risposta a un no che ho detto
dieci anni fa, è stato in un parco di attrazioni di Tenerife: lì c'è un percorso per cui bisogna buttarsi giù a picco da una montagna a 60 km all'ora per
finire poi in acqua; si passa in un canale protetto, nel quale non ci
si può muovere perché è pericoloso e dietro alle pareti di protezione ci sono
squali e animali vari; è una cosa che fanno in pochi e che ho voluto fare come sfida con me stessa, per rispondere al no detto 10 anni fa,
è stato un segno del mio cambiamento in questi 10 anni. Un sì folle
è anche quello detto a scapito della mia vita personale al mio
lavoro, al mio percorso personale, a tante cose che servivano a me stessa. Penso si debba sempre osare.
I sì più faticosi sono quelli che dico a
mio figlio, che è adolescente, per cose che non condivido ma che è
giusto che faccia nel suo percorso di vita. Mi costano molta fatica.
- C'è un sì di cui si sente orgogliosa e uno che, ripensandoci,
non direbbe? Quali sono?
Sono molto orgogliosa dei sì che hanno
dato origine a questa, che definisco la mia seconda vita; sono sì a
me stessa, che considero molto belli e importanti. Bisogna imparare a
dire sì a se stessi, sono molto faticosi, ma sono convinta che
possono aiutare nel proprio percorso di vita. I sì combattuti sono i più belli.
I sì che non direi... sono alcuni sì detti da giovane, senza
esperienza, senza pensare più di tanto, senza la consapevolezza
necessaria.
- Ha mai identificato in cosa consista la
sua zona comfort? Cosa ha implicato uscirne, le volte che l'ha
fatto?
Conosco la mia zona comfort, ma penso anche che l'unico
modo per progredire, in qualunque settore, è lavorare per
migliorarsi. E si migliora solo accettando le sfide, confrontandosi,
osando. Uscire continuamente dalla zona comfort è l'unico modo che
abbiamo per progredire come persone.
- Ci sono dei sì detti da
Torino, durante la sua storia, di cui si sente orgoglioso e in cui si
riconosce?
Sono contenta degli ultimi sì detti da Torino, penso
ai Giochi Olimpici, alla vocazione internazionale che è emersa
allora e che ha fatto conoscere la città all'estero. Senza
strumentalizzazioni politiche, cito anche le manifestazioni per
l'alta velocità, che sono state una scossa, un invito a muoversi e a
non sentirsi abbandonati. Un altro sì è la sfida di Torino nei
confronti dell'Italia: essere stata la capitale del Paese è cosa che dovrebbe farci
mettere in testa che possiamo farcela, anche per la posizione
geografica, che può attrarre turismo e attività, così da non farci
fagocitare da Milano. Dire sì e
lavorare insieme, per me è la sfida, mantenendo le identità
diverse, ma collaborative.
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