Quando si parla
di Torino com'era si pensa sempre alla Torino barocca, a quella
ottocentesca, raramente a quella medievale, mai a quella romana. Del
resto abbiamo poche tracce di Augusta Taurinorum, colonia romana
fondata il 30 gennaio del 9 avanti Cristo. Di tanto in tanto i lavori
nel centro cittadino, in particolare nel cosiddetto Quadrilatero
Romano, rivelano antiche domus e inaspettati mosaici, che raccontano
la città, prima che diventasse Torino. Una città piccola, di
insulae, isolati regolari, come ancora oggi nel centro storico, ma
dotata anche di case di sorprendente eleganza (Augusta Taurinorum era pur
sempre una colonia lontana dalla Caput Mundi, incastonata nell'angolo
di Nord Ovest a controllare la via delle Gallie, ma non certo di
splendente ricchezza).
Le foto, da museotorino.it (sin) e dal twitter dei Musei Reali @museirealito (des)
Una trentina di
anni fa, quando il Quadrilatero Romano era ancora un quartiere popolare, considerato anche "pericoloso", non ancora meta prediletta della
movida, gli scavi per un parcheggio hanno rivelato in via Bellezia 11, una grande
domus
di circa 200 metri quadrati, risalente al II secolo dopo Cristo e
costruita su un edificio più piccolo di un secolo prima.
Nella nuova
domus c'erano almeno undici ambienti, "un lungo
corridoio d'ingresso scoperto e lastricato di mattoni, affiancato
da un vano forse porticato, si apriva su una corte quadrangolare
coperta da tetti con le falde spioventi verso il centro del cortile
in modo da permettere una razionale raccolta dell’acqua piovana"
si legge
su museotorino.it. Tutti gli ambienti avevano un pavimento di malta e
frammenti di laterizi e pietra, con l'eccezione del soggiorno e di
una grande stanza rettangolare. Qui c'erano preziosi mosaici
conservati oggi al Museo d'Antichità di Torino, nei Musei Reali.
Il
più famoso è quello dell'amorino che cavalca un delfino: è stato
trovato nel soggiorno, riservato ai pasti e al ricevimento degli
ospiti. Lo si deduce proprio dal pavimento, "decorato da un
motivo geometrico di stelle a otto losanghe con quadrati e rettangoli
di risulta riempiti da nodi di Salomone. Le stelle sono disposte in
modo da ricavare uno spazio centrale per due pannelli figurati
(emblemata). Il pannello superiore, più piccolo, è quasi
completamente scomparso. Quello inferiore reca nel disco centrale la
raffigurazione policroma di un amorino alato che cavalca un delfino,
tenendo nella mano destra un'asta. L'intera decorazione è inquadrata
da una fascia nera abbellita da una cornice di rombi che si inserisce
soltanto su un lato breve e su una piccola porzione di quello lungo.
La banda non decorata doveva essere nascosta dai letti (triclini) che
servivano per il banchetto, mentre la fascia decorata era in
corrispondenza della porta di ingresso alla stanza".
"Nessuna fantasia sarebbe bastata
allora a immaginare che, sotto lo zoccolo dei cortili interni di
quelle case, avremmo potuto trovare una dimora signorile di età
romana, con più di dieci stanze distribuite lungo un corridoio
d'ingresso affiancato da un vano, forse porticato. Una casa
prestigiosa, dotata di attrezzature per raccogliere l'acqua piovana
al centro di un cortile interno e di altre comodità tipiche delle
classi più agiate" scrive Carla Piro Mander sul
numero 7 della Rivista Museo Torino. E più avanti ricorda
l'emozione, perché di questo si tratta, allo scoprire il passato:
"Tre metri sotto il piano di calpestio di quella casa fatiscente
in un quartiere popolare di Torino, ma lontano nel tempo centinaia di
anni". Il passato di Torino, la storia di secoli di persone,
volti e vite che non ci sono più, che
tornano a parlarci attraverso un mosaico e ricordano saperi, stili di
vita, gusti, che sono nel nostro DNA, in qualche
modo, anche se non ne siamo consapevoli. Non è emozionante?
Una
città che non c'è più, ma che racconta ancora di sé e che è
tutta da (ri)scoprire non appena riapriranno i Musei.
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