Marco Castelnuovo, nato a Milano, laureato in Scienze Politiche, direttore della Cronaca di Torino del Corriere della Sera Sono arrivati a Torino per scelte sentimentali, familiari, professionali o magari perché un giorno ci sono passati, se ne sono innamorati e hanno fatto di tutto per non andare via. Il loro sguardo racconta aspetti della città che chi è nato e vissuto qui non vede, magari per abitudine, e offre muovi stimoli e nuovi suggerimenti (vedrete, mano a mano, diversi fili conduttori, nelle loro parole). Sono i Torinesi per caso, quelli che hanno lasciato le loro zone comfort per aprire una nuova pagina di vita in città.
E grazie a tutti loro per il tempo, lo sguardo, le idee sulla Torino che vedono e quella che potrebbe essere.
- Quando e perché
ha scelto Torino? La prima immagine e la prima impressione della
città, all'arrivo
Tecnicamente non ho scelto Torino, Torino mi ha
scelto. Mi sono trasferito una prima volta per lavorare a La Stampa,
poi, dopo dieci anni, sono tornato a Milano; pensavo di non tornare
più, se non in vacanza o per vedere gli amici, e invece mi è stato
proposto di dirigere il dorso locale del Corriere della Sera e sono
tornato ben volentieri. Il primo impatto con la città, la primissima
volta che sono arrivato per lavoro: ricordo chiaramente che dovevo
fare benzina, chiedevo dove fosse un benzinaio e mi dicevano in corso
Regina e io non lo trovavo, perché nessuno diceva corso Regina
Margherita. Giravo in quella parte di città, con la spia sempre più
rossa e chissà quante volte sono passato in quel corso che non
trovavo!
- Una cosa che non avrebbe mai detto di Torino e che l'ha
piacevolmente sorpresa, vivendoci; e invece la conferma, positiva o
negativa, di un'idea che aveva già della città.
Non avrei mai
immaginato la sua alta qualità della vita; anche con uno stipendio
medio si riesce ad avere una qualità della vita alta rispetto a
quella offerta da tante città italiane.
La conferma è che i
torinesi sono riservati e questo da un lato è apprezzabile,
dall'altro essere troppo chiusi nei rapporti con le persone porta a essere chiusi anche da un punto di vista mentale e questo non è
buono.
- Cosa vorrebbe avesse Torino della sua città d'origine e,
viceversa, cosa la sua città d'origine dovrebbe avere di Torino
Da
Milano Torino dovrebbe prendere la capacità di vendersi, di esporsi
e di comunicare e di essere anche un po' bauscia. Deve mettere sul
piatto le cose che fa, questo "non mi oso" dietro al quale
si nasconde è davvero assurdo. E vorrei magari più Esselunga: per
un milanese è casa; le prime volte, dovendo tornare nella
zona sud di Milano, passavo per convenienza sulla Torino-Piacenza e
al ritorno mi fermavo a fare la spesa da Esselunga, ad Asti, prima di arrivare a Torino, per dire quanto sia importante per un milanese!
Milano dovrebbe avere di Torino i parchi e i
ristoranti.
- Il posto in cui ha iniziato a capire Torino, da
consigliare anche a chi visita la città
Per capire Torino
bisogna andare in più luoghi perché ci sono tante Torino. Ma se c'è
un posto che tiene tutto insieme, e ne vanno però visitati tanti per
capire la città, è il mercato. Andare al mercato di San Salvario, è
un'esperienza completamente diversa, e si capisce molto di San
Salvario, rispetto ad andare al mercato di Porta Palazzo, di piazza
Borromini o al mercato della Coldiretti che c'è alla domenica in
centro. Andare per mercati spiega molto dei torinesi, il tempo che spendono nello scegliere i prodotti, nel parlare con il contadino,
nella cura delle verdure di stagione. C'è tutto un mondo intorno che
vale la pena scoprire, poi a Torino i mercati rionali sono tutti i
giorni, cosa che non succede dovunque, e anche questo dice molto della città.
-
Tre cose da cui Torino può ripartire dopo la crisi di questi anni e
dopo la pandemia
Torino non può, deve ripartire dalle sue
eccellenze, che sono solo sotto uno strato di polvere. In questa
città ci sono eccellenze in tutti i campi: nell'arte, nella cultura,
nel cibo, nel lavoro, nelle start-up nell'innovazione. Non deve
inseguire Milano, deve collaborare con lei. Deve disegnare qualcosa
di sartoriale, non pensare a prodotti di massa.
Deve ripartire
dal lavoro, perché ce n'è poco e senza lavoro non si va nessuna parte, soprattutto c'è una crisi di
identità anche in questo campo.
E deve ripartire dal saper comunicare il bello, perché
ne ha tanto, ma non lo comunica. Poi tutte le volte che al Giro
d'Italia la inquadrano dall'alto tutti "ehh, ma che bella che
è!". Certo, però è bella sempre, peccato che non venga detto e
quasi ci si vergogna a dirlo. Troppe persone quando vengono a Torino
dicono "che bella città!": non è possibile, però, che sia ancora una scoperta nel 2021!
Commenti
Posta un commento