Josep Ejarque, nato a Barcellona, 56 anni, laureato in Economia e Management,
destination manager ed ex direttore di Turismo Torino Sono arrivati a Torino per scelte sentimentali, familiari, professionali o magari perché un giorno ci sono passati, se ne sono innamorati e hanno fatto di tutto per non andare via. Il loro sguardo racconta aspetti della città che chi è nato e vissuto qui non vede, magari per abitudine, e offre muovi stimoli e nuovi suggerimenti (vedrete, mano a mano, diversi fili conduttori, nelle loro parole). Sono i TorineSÌ per scelta, quelli che hanno lasciato le loro zone comfort per aprire una nuova pagina di vita in città.
E grazie a tutti loro per il tempo, lo sguardo, le idee sulla Torino che vedono e quella che potrebbe essere.
- Quando e perché ha scelto Torino? La
prima immagine e la prima impressione della città, all'arrivo
Sono arrivato a Torino nel 1999, dopo
aver accettato la proposta degli allora sindaco di Torino Valentino Castellani e Assessore
alla Cultura Fiorenzo Alfieri di organizzare e
lanciare Torino turisticamente, in vista dei Giochi Olimpici. Ci ho
messo tre mesi per decidere, per me significava lasciare la Spagna e
alcuni progetti interessanti che stavo seguendo lì. Per valutare la
proposta, decisi di fare una sorta di ricognizione in città e usai
alcuni giorni di vacanza, intorno a Ferragosto. Inutile dire che per
me la visita fu uno choc, stiamo parlando del 1999: trovai tutto chiuso, una
città deserta e mi dissi "Madonna Santa!" Accettare il lavoro è stata un po' una sfida.
Sono arrivato il 1° dicembre
1999, i primi giorni vivevo in albergo, non avendo ancora una casa,
e, uscito alla sera dall'ufficio, il mio problema era dove mangiare; i ristoranti alle 20 erano chiusi o con la cucina in chiusura. Così
le mie prime cene torinesi sono state da McDonald's, in piazza
Castello, l'unico posto aperto in centro a quell'ora.
La mia impressione è stata quella di una città che non
aveva ritmi turistici e che non aveva la
consapevolezza di poter diventare turistica e attrattiva. Il carattere dei torinesi, che quasi non ammettevano l'idea
di turisti, ovvero di estranei nella loro città, e che difendevano
una sorta di purezza ideale, non facilitava le cose. C'è stato un
lungo e delicato processo di sensibilizzazione per trasformare Torino, ma alla fine direi che ci siamo riusciti.
- Cosa vorrebbe avesse
Torino della sua città d'origine e, viceversa, cosa la sua città
d'origine dovrebbe avere di Torino
Torino e Barcellona sono due
mondi molto diversi. Barcellona è una città che non ha paura del
futuro, è sempre in movimento per crescere e svilupparsi, Torino mi
ha sempre dato la sensazione di un "oh per carità, vediamo cosa
succede", di "sì, va bene, ma non facciamo il salto
definitivo". Le Olimpiadi sono state un grande opportunità, ma non sono state sfruttate fino in fondo. La grande differenza dei Giochi per Torino e
Barcellona, che ha avuto le sue Olimpiadi nel 1992, ovvero un'era fa,
quando non c'era neanche Internet, è che per Barcellona sono stati
uno strumento, un punto intermedio di una strategia di crescita, per
Torino sono stati l'obiettivo, dando per scontato che tutto il resto
sarebbe arrivato automaticamente. Torino a volte pretende che le cose le succedano per il fatto che è Torino. Questa è la città ai salotti,
si rapporta sempre in circoli chiusi e non si confronta con chi è
esterno a questi circoli. Succede solo qui: ho lavorato anche a Milano, per esempio, ed è un altro mondo!
Cosa vorrei che Barcellona avesse di
Torino... una bella domanda, sinceramente non ho mai pensato al
rapporto in questi termini, non saprei cosa dire, onestamente.
Barcellona ha il mare, ha infrastrutture, energia, la luce... una
cosa che mi manca di Barcellona è la luce! Ma Torino è la mia
città, ho scelto di rimanerci per ragioni sentimentali e ne sono
orgoglioso, quello che vorrei è che si rendesse conto delle sue
potenzialità.
- Una cosa che non avrebbe mai detto di
Torino e che l'ha invece piacevolmente sorpresa, vivendoci; e invece
la conferma, positiva o negativa, di un'idea che aveva già della
città
Mi ha sorpreso il verde, è una città molto verde; e
soprattutto ha una bella qualità della vita, cosa che ho potuto apprezzare nel corso
degli anni: è una città a misura d'uomo, in cui è facile vivere.
La conferma che ho avuto è
l'ordine: una città ordinata e sicura.
- Il posto in cui ha
iniziato a capire Torino, da consigliare anche a chi visita la città
Due posti. Uno è il Museo Egizio: è un ottimo museo, che
"conserva", e "conservare" è il DNA di Torino. Me lo
ricordo nel 1999, era allucinante, con le teche vecchie, con le
scritte solo in italiano e fatte con le vecchie Olivetti. Lo hanno
modernizzato un po', ma non totalmente, e anche questo è molto
torinese, facciamo un po', ma non tutto. Una città che non è
definitiva, che non apre decisa una nuova pagina,
siamo "parto, ma mi fermo, altrimenti perdo il controllo".
L'altro luogo sono i Cappuccini, che permettono una bella visione di
Torino; se si va all'imbrunire si vedono il movimento e l'idea di questa città a volte bipolare: da una parte non vuole andare avanti per non
perdere il controllo, dall'altra c'è movimento, "non sta mai
ferma".
- Tre cose da cui Torino può ripartire dopo la
crisi di questi anni e dopo la pandemia
Il know how: guardiamo al Politecnico e
alla parte tecnologica, Torino ha buone basi per ripartire.
Il
turismo, senza dubbio, ma andrebbe ripensato, rimodulato,
riorganizzato, rilanciato, "ritutto".
L'industria: si deve trovare un settore
trainante che non può decisamente essere l'auto, perché ormai non
siamo più la città dell'auto.
PS Non commento mai le interviste, penso che le risposte dei vari interlocutori offrano un'idea della città su cui riflettere, perché arriva da chi l'ha scelta per viverci. Ma in questo caso faccio un'eccezione: che in una Torino non troppo lontana ci sia spazio per progetti di futuro a lungo termine e di ampia visione affidati a personalità competenti e lucide come Josep Ejarque.
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