Silvia Fissore, nato a Milano, 45 anni, laureata in Lettere Classiche, addetta stampa
Sono arrivati a Torino per scelte sentimentali, familiari, professionali o magari perché un giorno ci sono passati, se ne sono innamorati e hanno fatto di tutto per non andare via. Il loro sguardo racconta aspetti della città che chi è nato e vissuto qui non vede, magari per abitudine, e offre muovi stimoli e nuovi suggerimenti (vedrete, mano a mano, diversi fili conduttori, nelle loro parole). Sono i TorineSÌ per scelta, quelli che hanno lasciato le loro zone comfort per aprire una nuova pagina di vita in città.
E grazie a tutti loro per il tempo, lo sguardo, le idee sulla Torino che vedono e quella che potrebbe essere.
- Quando e perché ha scelto Torino? La prima immagine e la prima impressione della città, all'arrivo.
Mi sono trasferita stabilmente a Torino
nel gennaio 2009, dopo un paio d'anni di pendolarismo sentimentale
che mi avevano permesso di vivere, e godermi, la città quasi
esclusivamente nella sua dimensione turistica e di intrattenimento. Non è stato un
salto nel vuoto: Torino la conoscevo già molto bene da diversi anni,
anche grazie a una vecchia amica d'infanzia, e mi aveva sempre
affascinata per la sua bellezza composta, tanto diversa dal caos
modaiolo di Milano. L'idea di trasferirmi in una dimensione più
misurata mi attirava moltissimo ed essendo già free lance, non avevo
nessun vincolo particolare che mi legasse a Milano. Insomma è stata
una scelta abbastanza rapida.
La prima impressione al mio arrivo? Il
verde del fiume e dei parchi, un'esplosione di natura impensabile
nella cementificazione milanese. Ma sono rimasta sorpresa soprattutto
dall'amore e dall'orgoglio degli abitanti per la loro città. Può
sembrare strano, ma noi milanesi nasciamo con la consapevolezza e la
rassegnazione di vivere in una città irrimediabilmente e
oggettivamente brutta. E ci consoliamo dicendo che almeno offre
tantissime opportunità di lavoro. Ma non è vero amore, è più che
altro un compromesso: prova ne sia che appena possiamo scappiamo in
Liguria o in Val d'Aosta. I torinesi, invece, vivono davvero la loro
città riversandosi in qualsiasi stagione dell'anno nelle sue piazze,
nei suoi caffè, sul lungo fiume, nei parchi. Anche in questo periodo
così difficile, appena è stato possibile, le persone sono tornate a
godersi la bellezza della loro città. A Milano, al massimo, ti
chiudi nei locali trendy o ti ficchi nelle vie dello shopping, o vai
a visitare qualche mostra perché "va vista".
- Una
cosa che non avrebbe mai detto di Torino e che l'ha invece
piacevolmente sorpresa, vivendoci; e invece la conferma, positiva o
negativa, di un'idea che aveva già della città
Una sorpresa piacevole? L'attenzione
per il buon cibo. Abituata ai mega supermercati di Milano, dove a
gennaio trovi le ciliegie dal Cile e a luglio le pere dell'Argentina,
sono rimasta affascinata dall'abitudine dei torinesi di andare a fare
la spesa ai banchi del mercato. Ancora più sconvolta poi, dal
trovare frutta e verdura a "kmZero" che arrivano dalle
piccole aziende agricole della zona.
La conferma è che gli abitanti sono
effettivamente un po' chiusi e abitudinari. La fortuna, però, è che
quando decidono di aprirsi hanno un senso dell'ospitalità molto,
molto forte.
- Cosa vorresti avesse Torino della tua città
d'origine e, viceversa, cosa la tua città d'origine dovrebbe avere
di Torino
Per Torino vorrei più abilità nel
promuovere le sue risorse e la sua immagine: su questo Milano docet,
indubbiamente! Anche se dopo le criticità nella gestione della pandemia il suo modello di città efficiente è vacillato. Insomma
per Torino serve più spirito imprenditoriale e più voglia di
mettersi in gioco. Sicuramente negli ultimi dieci anni la città è
andata in questa direzione, ma c'è davvero ancora tanto da
fare.
Milano, invece, soprattutto in questo momento, dovrebbe
imparare quel senso di autocritica che ha permesso a Torino di
ripartire, o meglio rinascere, dalla ceneri del suo passato di
città-fabbrica.
- Il posto in cui ha iniziato a capire
Torino, da consigliare anche a chi visita la città
Il circolo
dei Canottieri dell'Esperia è stato sicuramente uno dei luoghi che
mi ha aiutata a capire la città: il suo legame fortissimo con il
fiume Po (tutte le città attraversate da un corso d'acqua è come se
avessero una sorta di genius loci), il suo culto amorevole per
certe tradizioni del passato e il desiderio di mantenerle vive.
Visitare un circolo di canottaggio è sicuramente un punto di
osservazione interessante per chi vuole capire meglio Torino e i suoi
abitanti. Ognuno ha le proprie regole, i propri codici e i propri
simboli: sono piccoli mondi antichi, fuori dal tempo e proprio per
questo ancora più preziosi e interessanti.
- Tre cose da cui
Torino può ripartire dopo la crisi di questi anni e dopo la pandemia
Turismo, ma quello con la T maiuscola,
non quello mordi e fuggi. Torino è oggettivamente bella e a dirlo
non sono solo gli ultimi arrivati come la sottoscritta, ma lo hanno
affermato personaggi come Rousseau, Nietzsche o Le Corbusier. Però
deve attrezzarsi maggiormente per accogliere un turismo d'elite, in
grado di apprezzare la cultura dei suoi palazzi e delle sue
collezioni d'arte, così come la sua raffinata tradizione
enogastronomica che non ha nulla da invidiare a quelle di altre città
italiane.
Ricerca. Credo molto nelle potenzialità
dei suoi poli universitari, in grado di attrarre investimenti. Non
dimentichiamo che proprio qui a Torino hanno sede alcuni tra i gruppi
più competitivi in ambito internazionale, come Leonardo, Thales
Alenia Space e Altec, vere e proprie avanguardie di un esercito di
quasi 300 imprese che in Piemonte operano in uno dei settori a più
alto potenziale, quello dell'aerospazio.
Creatività. Torino ha spesso fatto da
apripista in moltissimi settori, dal cinema, alla moda; questa sua
vocazione pionieristica è sicuramente sintomo di grande forza
creativa. Non per niente vedo fiorire tantissime iniziative che hanno
solo bisogno di essere sostenute. E vedo con piacere che è una città
ancora in grado di attrarre i giovani con le sue università, i suoi
istituti di ricerca e i suoi poli formativi. Un terreno fertile e
accogliente che va solo coltivato con pazienza e da cui penso
potranno crescere moltissime opportunità.
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