Ho sempre cercato di evitare di parlare
della Fiat in Rotta su Torino, di associare l'immagine della città a
quella della grande fabbrica, che per decenni ne ha condizionato
sviluppo sociale, economico e persino urbanistico. Ho sempre cercato
di valorizzare l'aspetto culturale, storico, artistico di Torino,
messo troppo spesso in ombra dalle vicende del gruppo guidato dalla
famiglia Agnelli. Non sempre è stata una scelta consapevole, chissà quanto è stata giusta, comunque; ci ho pensato oggi, guardando queste belle
fotografie pubblicate da Censin nel forum Torino Sparita di
skyscrapercity.com.
Da adolescente, ho vissuto l'ultimo
periodo dello stabilimento di Mirafiori. Abitavo a Mirafiori Sud, la
cui geografia è scandita dalla grande fabbrica; un lunghissimo muro
la separava dal quartiere, a percorrere via Biscaretti di Ruffia o
via Anselmetti, sembrava di correre accanto al Muro di Berlino. E
anche solo questo dava un'idea di come lo stabilimento, di cui si
vedevano solo le ciminiere e gli alti alberi vicini al Muro, mentre si andava in centro con il 63/, fosse un mondo sconosciuto, misterioso,
quasi una sorta di Berlino Est. E sì, in quei tempi lontani, in cui nessuno parlava di periferie, si arrivava in centro da Mirafiori Sud con ben due bus, il 63 e 63/, che partivano da via Negarville, raccoglievano i residenti del quartiere, da sud l'uno, in strada del Drosso, e da nord, l'altro in via Biscaretti, prima di immettersi in corso Unione Sovietica, dove, da piazza Caio Mario in poi una terza linea, il 4, portava verso nord. Pensate un po', c'è stato un tempo in cui offrire comodità ai residenti delle periferie non era considerato uno spreco (e ricordo che in 40 minuti si arrivava in via Garibaldi, adesso troppo spesso ci vogliono 20 minuti di attesa alla fermata solo per arrivare a prendere il 4 o il 10 in piazza Caio Mario, con ulteriore attesa per arrivare finalmente in centro). Anche questo parla della perdita di importanza della Grande Fabbrica e del suo quartiere.
Tornavo dal liceo e il 71 era affollato di operai per il cambio di turno. Erano persone semplici, dalla faccia meridionale
e contadina, c'erano anche molte donne, e la cosa che mi colpiva sempre
era come fossero spenti; la loro massima aspirazione sul 71 era
dormicchiare appoggiati al finestrino, discutere di calcio o
spettegolare sull'Avvocato, in una busta di plastica della spesa
avevano la loro gavetta con la cena e le loro cose. Erano spezzoni di vite senza
entusiasmo, che però hanno disegnato il futuro di Torino, hanno
permesso a una generazione, la mia, di studiare e di arrivare
all'Università. C'è una serie tv,
Questo nostro amore, in cui uno
dei protagonisti, operaio siciliano, interpretato da Nicola Rignanese, dice al
personaggio di Neri Marcorè, mentre sono in piazza San Carlo, seduti
ai piedi della statua di Emanuele Filiberto, "Io a questa città
devo tutto". Non mi sono mai dimenticata questa frase. L'avessi
ascoltata negli anni dell'adolescenza, mi avrebbe fatto guardare con
maggiore indulgenza a chi si estraniava chiudendo gli occhi, seduto
sul 71 che correva verso Sud. Anche perché, rovesciando la prospettiva, non erano solo gli operai a dovere tutto a Torino, ma era anche Torino, così profondamente trasformata, a dovere tanto a loro, nella sua nuova identità di città industriale, all'avanguardia del pensiero e della ricerca in Italia.
Torino è cambiata molto da queste
fotografie, un adolescente di oggi non potrebbe immaginare piazza
Castello o piazza San Carlo con le automobili; avrebbe difficoltà a
credere che i bus dell'ora di pranzo diretti verso Mirafiori Sud erano
contesi tra studenti e operai; non riconoscerebbe la stessa Mirafiori
Sud, dove i muri della Fiat sono caduti, senza però lasciare ancora
chiaro come sarà il territorio che fu di auto e operai. La città è
cambiata così tanto, in così pochi decenni.
Negli anni '80, il
Lingotto fu trasformato nel primo centro del terziario in Italia, una
ristrutturazione ciclopica firmata da Renzo Piano che incuriosì
anche i media internazionali, cambiò per sempre l'immaginario legato
a quel complesso, diventato un luogo di svago e di accoglienza in
tutte le loro declinazioni, dal centro commerciale agli hotel, e
indicò a Torino una direzione possibile nel riuso delle sue fabbriche
abbandonate. La sua pista di collaudo, su cui troneggiano adesso la Bolla e
la Pinacoteca Agnelli, diventerà presto un giardino pensile,
ulteriore elemento di attrazione di un complesso nato per portare
cambiamento nel suo quartiere. Lo stabilimento di Mirafiori Sud non
ha avuto altrettanta fortuna nella ricerca di futuro e rimane
incompiuto, un po' ancora fabbrica, molto ridimensionata, un po'
terra di progetti non ancora realizzati.
Mi riesce difficile
raccontare di questa Torino novecentesca, del suo linguaggio duro e
appassionato, dei suoi sacrifici e delle sue lotte, nonostante sia
cresciuta nel quartiere che tutto questo ha vissuto direttamente (e,
cosa curiosa, senza aver alcun legame familiare con la Fiat). Però è
qui, in queste foto, e quando le guardo mi sento enormemente fiera di
questa città, in cui si è lottato per tutto un secolo per i diritti
dei lavoratori e in cui liberalismo e socialismo hanno offerto il
loro pensiero più lucido e più aperto verso l'altro.
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