Vedo la Sacra di San Michele dal mio balcone ed è quasi un segnale di quanto sia promettente la
giornata, da un punto di vista meteorologico; dalla mia prospettiva,
appare chiaramente il suo ruolo di sentinella, tra la Valle di Susa e
la Pianura Padana e in qualche modo la amo di più. Volevo salire
a visitarla da molto tempo e volevo farlo con Somewhere Tours & Events perché amo
il suo modo di descrivere il territorio e di trovare sempre chiavi di
lettura originali, che invitano a orizzonti meno tradizionali.
L'occasione c'è stata la scorsa settimana ed è valsa la pena, come
sempre (Somewhere sale alla Sacra la domenica alle ore 9, con
partenza da piazza Solferino, davanti al Teatro Alfieri e con
apposito bus e guida in accompagnamento sin da Torino; calendario e
informazioni per le prenotazioni su
www.somewhere.it).
La visita alla Sacra non è solo la visita vera e propria
all'abbazia e al suo intorno, ma è anche il viaggio. Quando si
lascia Torino e iniziano ad avvicinarsi le Alpi, quando si arriva ai
suoi piedi, quando da Avigliana inizia la salita e la sua
architettura inizia ad apparire e scomparire tra le fronde degli
alberi. Si pensano tante cose, soprattutto si pensa alla fatica che
dev'essere stato portare i materiali per la sua costruzione fin
lassù, nel punto più alto e impervio del monte Pirchiriano,
all'alba del Mille."La Fede fa fare anche l'impossibile" mi
ha detto la guida Antonella, preziosa e gentile, mentre commentavamo cosa dev'essere stato costruirla. Ed è una delle
frasi da non dimenticare, durante la visita. L'avvicinamento alla
Sacra, dicevo, è una delle cose più belle, anche negli ultimi 800
metri, a piedi. L'attesa, si sa, rende sempre speciali gli incontri.
E una volta arrivati lassù, accade subito la magia:
l'architettura, la roccia e il paesaggio che diventano un tutt'uno e
si parlano da almeno un millennio. La Sacra ha un aspetto severo e
rigoroso, la forza della pietra la rende possente come nessuna; è
stata costruita nel passaggio dal romanico al gotico, avendo la
solidità del primo e lo slancio del secondo; gli archi rampanti
aggiunti nell'Ottocento, sono anche una nota di colore (tendono al
verde) e raccontano, anche loro, della forza e del tempo. Una delle
leggende intorno alla Sacra di San Michele è la "fatica"
per raggiungere la chiesa: ci sono oltre 140 gradini, sui quali mi era
stato raccontato di tutto ed ero anche un po' preoccupata (non avrei
dovuto: dopo aver fatto i 480 della cupola del Duomo di Firenze più
o meno indenne, niente mi può spaventare).
In realtà le scale quasi
non si sentono (e lo dice una che ha lasciato palestra e dintorni insieme al liceo); quelle "faticose" sono le tre rampe che
portano alla Porta dello Zodiaco, ma si sviluppano in un
intorno di grande bellezza: un ambiente a tutt'altezza di impronta
gotica, in cui si fondono la roccia e l'architettura ed è quasi
difficile riconoscere l'una e l'altra; quando si è ai piedi
dell'ultima rampa, la più ripida, appare la luce della Porta, in una metafora evidente della Salvezza attraverso la Fede. E, una volta arrivati al termine di questa scalinata, di nuovo la
bellezza dell'intorno: architettura, paesaggio e storia che parlano
con una sola voce.
La chiesa non delude le aspettative. Il suo
interno ha tantissimi elementi gotici, ma colpisce soprattutto la sua
spoglia bellezza. Sembra un
less is more, meno è di più, applicato
nel Mille: non ci sono marmi né materiali preziosi, solo l'umiltà
del laterizio, la severità della pietra e la luce filtrata dalle
vetrate. Anche le tombe dei Savoia si adattano alla severità del
luogo: nessuna statua sui loro sarcofagi, fatti di semplice pietra (e
sì che ci sono Savoia importanti nella storia del casato, da
Margherita di Valois, moglie del duca Emanuele Filiberto, a Maurizio
di Savoia, il fondatore di Villa della Regina, a suo nipote, il
piccolo Francesco Giacinto, nel cui nome sua madre Cristina regnò
come prima Madama Reale, fino al principe Emanuele Filiberto, primo
esponente di spicco dei Savoia-Carignano e committente di Palazzo
Carignano). Alla base di una delle colonne, una targhetta avverte che
lì c'è la punta più alta del Monte Pirchiriano, tutto il resto, è
implicito, è opera dell'uomo. La Fede parla senza gesti eclatanti: è
la nostra guida Antonella a sottolineare la lotta tra Bene e Male nei
capitelli della Porta dello Zodiaco o il gocciolatoio con la forma
mostruosa di un Diavolo beffardo, come da tradizione gotica, che
però, nota lei, rimane fuori dalla chiesa; il Male lotta contro il
Bene, ma non riesce a entrare in chiesa, tempio della Fede. Così la
Sacra parla non solo ai cristiani e ai credenti, ma a chiunque si
interroghi sulla spiritualità.
Al termine della visita alla chiesa, si
passa a una terrazza affacciata sulla Valle di Susa, davanti alle
Alpi; poco più in basso, i resti del Nuovo Monastero, dove i monaci
benedettini che guidavano l'Abbazia, avrebbero voluto ospitare i
nuovi frati; tra loro c'è la torre da cui la bella Alda diede prova
di fede e vanità, salvandosi prima e perdendosi poi: la leggenda vuole che, per sfuggire ad alcuni soldati, si lanciasse giù dalla torre,
affidandosi alla fede in Dio, e per questo fu salvata dagli angeli, ma
quando volle ripetere il gesto, per mostrare ai compaesani come era
andata, si schiantò al suolo, per vanità.
Ed è quando ci si trova
qui in basso, tra le rovine del Nuovo Monastero, che guardando in alto, verso l'Abbazia, si pensa che qui sono passati proprio tutti, soldati e
pellegrini. Punto di ristoro per la varia umanità che ha
attraversato la Valle per un millennio, luogo di pace e di guerra, è
sopravvissuta a tutto, continuando a trasmettere il suo messaggio
profondo di fiducia, amore, fede. Quando si crede in qualcosa, si può fare
tutto, anche l'impossibile, forse l'insegnamento più bello che la Sacra
trasmette dal monte Pirchiriano, vista da mezzo Piemonte.
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