Tempo fa, al MAN di Nuoro, c'è stata
una bella mostra,
Il regno segreto. Sardegna-Piemonte: una visione post-coloniale, che sottolineava i profondi rapporti culturali
instaurati tra il Piemonte e la Sardegna, uniti sotto la stessa
Corona; in questo continuo scambio, di cui né in Piemonte né in Sardegna siamo
mai stati davvero consapevoli, perché poche volte è stato analizzato e raccontato (eppure tanta architettura sarda ricorda
Torino e tanti cognomi sardi, compreso il mio, accompagnano le ultime generazioni torinesi), c'è la figura di Giovanni Antonio Porcheddu, il "re del
ceento armato". Mi aveva incuriosita all'epoca della mostra, ma è stato
dopo la visita a Ivrea del 2 ottobre, che ho deciso di dedicargli un articolo. Non solo il calcolo strutturale dello stabilimento della FIAT del Lingotto, ma anche la "fabbrica di mattoni rossi",
primo, avveniristico stabilimento dell'Olivetti, porta la sua firma,
essendo stata realizzata in cemento armato e poi "tamponata"
con i mattoni rossi, secondo un procedimento per l'epoca nuovissimo e nelle mani dell'ingegnere sardo, in esclusiva per tutta l'Italia.
Giovanni Antonio Porcheddu
La storia di Giovanni Antonio Porcheddu merita di essere
raccontata perché è una storia di passione, volontà, superamento,
una storia di ascesa sociale attraverso lo studio e lo sforzo, che ha
nell'emigrazione e in Torino, città delle occasioni, il suo centro.
E chissà quante sono le storie dell'immigrazione che hanno seguito e
seguono lo stesso schema, continuando a cambiare il volto della
città. Porcheddu nacque nel 1860 in condizioni umilissime a Ittiri,
nel Sassarese; nei primi anni di vita perse entrambi i genitori e fu
affidato agli zii. Poteva essere una sfortunata storia di paese come
tante, ma Giovanni Antonio non era come tanti:
giovanissimo si trasferì a Sassari, dove si mantenne agli studi
grazie alle borse di studio e lavorando come operaio; diplomatosi
alla scuola tecnica superiore, grazie a un ulteriore borsa di studio e all'aiuto degli zii, decisi a dare un'opportunità al giovanissimo nipote di talento, frequentò a Pisa i primi due anni di
ingegneria, quindi arrivò a Torino, per laurearsi nel 1890 nella
Regia Scuola di Applicazioni per Ingegneri, il futuro Politecnico, in
Ingegneria Civile. Sempre a
Torino, si diplomò nel corso superiore di elettrotecnica (!891) e in
ingegneria industriale (1892).
Doveva essere un uomo di grande
curiosità, in questi anni si mosse tra la natia Sardegna e il
Piemonte, lavorando da una parte nelle miniere della sua isola (nel
1892, una terza laurea, in ingegneria mineraria) e dall'altra
stdiando per migliorare continuamente le sue conoscenze e le sue
opportunità. Ma alla fine si stabilì a Torino, complice forse anche
il matrimonio con Amalia Dainesi. A Torino aprì anche il suo studio
di ingegneria, nel 1895, e qui iniziò a mostrare il suo interesse per
le novità. Nel 1892, giovanissimo, scopre il cemento armato con il
Sistéme Hennebique, un sistema che disponeva profilati in ferro
all'interno del cemento, sostenuti da staffe e sistemati in base alle
forze a cui dovevano resistere. In poco tempo ottiene l'uso esclusivo
del brevetto in Italia, grazie alla stima di François Hennebique.
Per il giovane ingegnere sardo si aprirono così le porte della gloria.
Nella sola Torino firmò lo Stadium, la più grande struttura
sportiva costruita fino ad allora in Italia, e lo stabilimento della
FIAT Lingotto, il primo a importare il metodo fordista di produzione
in Italia (suoi furono i calcoli strutturali, mentre di Giacomo
Matté-Trucco il progetto architettonico). Ma davanti a un simile
potenziale del cemento armato, la sola Torino andava stretta
all'ingegnere Porcheddu; in poco tempo, scrive
L'unione sarda, che
come tanti giornali dell'isola dedica di tanto in tanto articoli al
celebre conterraneo, "dispone di dipendenze a Milano, Genova e
Roma, ha una propria ferriera a Genova per produrre barre di armatura
e ha ottenuto autonomia di calcolo e di progetto rispetto alla casa
madre. La sede torinese è dotata anche di un laboratorio per le
prove di carico".
Tra i suoi interventi più celebri, il
campanile di San Marco a Venezia, che ricostruì nel 1910, i silos granari del porto di Genova, costruiti nel 1899, il Ponte del Risorgimento di
Roma, forse la sua costruzione con il maggior numero di aneddoti, per
essere una vera e propria audacia per quell'epoca (1910). Lungo oltre
100 metri, largo 21 e a campata unica, continua a essere uno dei
ponti più belli della Città Eterna e per qualche tempo è stato
considerato il più lungo del mondo a campata unica. Fu costruito per
i 50 anni dell'Unità d'Italia e celebre è l'aneddoto della sua
inaugurazione, che testimonia anche tutta la perplessità che il
cemento armato non aveva ancora superato: viste le diffidenze e le
paure, Porcheddu si sistemò con due dei suoi sette figli su una
barca nel Tevere, sotto il ponte, per assistere allo smantellamento
delle impalcature e dimostrare la sua completa fiducia. E quello stesso giorno, una volta che fu
dimostrato che il ponte stava in piedi, nonostante la luce ardita, ci
fu l'incontro con re Vittorio Emanuele III, che volle scherzare con
l'ingegnere ammettendo che si trattava dell'incontro tra due re, il
Re d'Italia e il "re del cemento armato". Di lì la
definizione con cui l'ingegnere sardo è entrato nella storia.
Su
www.tottusinpari.it
trovate i dettagli delle opere più celebri firmate dall'ingegnere
con il suo cemento armato (molto bella e molto chiara la spiegazione
della ricostruzione del campanile di San Marco, all'apparenza con le
stesse caratteristiche che aveva il campanile originario, all'interno
rafforzato dalle tecniche del cemento armato).
Nel 1912,
Porcheddu fu nominato Cavaliere del Lavoro. Nel 1937, morì a Torino, la città
che gli aveva dato l'opportunità di riscattare la sua infanzia di
bambino povero e di sviluppare il suo talento e la sua enorme
determinazione.
Commenti
Posta un commento