Cuori, la bella serie tv di RAI1, con
Daniele Pecci, Matteo Martari e Pilar Fogliati, non solo si svolge a
Torino, ma si ispira, in modo molto romanzato a uno dei più
importanti dottori italiani del Novecento, Achille Mario Dogliotti.
Lo porta sullo schermo Pecci, che al suo Cesare Corvara dona
l'umanità e la passione per la ricerca che furono parte essenziale
della vicenda umana e professionale del medico torinese. La serie è
appassionante perché, dietro al triangolo che separa e unisce
Cesare, Alberto (Matteo Martari) e Delia (Pilar Fogliati), c'è
l'epopea della ricerca cardio chirurgica, che vide Torino
all'avanguardia mondiale, punto di riferimento per i primi tentativi
di trapianto di cuore. Cesare e Alberto sono ambiziosissimi: vogliono
essere i primi ad assicurare una nuova vita a chi soffre di cuore,
attraverso il trapianto, e non smettono di studiare, cercare,
approfondire, sperimentare. Un lavoro appassionante, che fa i conti con
i problemi etici posti allora dal mondo cattolico conservatore, ma
che ha come obiettivo l'unico che interessa davvero i medici: salvare
vite umane.


Per questo, guardando
Cuori, viene
naturale volerne sapere di più e voler capire quanto ci sia di vero
dietro Cesare Corvara e Alberto Ferraris. Delia Brunello, il personaggio
più forte, perché testimonia quanti pregiudizi ci fossero per le
donne specializzate in settori così delicati come la cardiologia,
anche da parte delle stesse donne, interpretato con piglio da Pilar
Fogliati, è totalmente inventato (purtroppo, ma che la tostissima
Delia sia di modello alle tante ragazze che studiano in settori
ancora in mano maschile). Achille Mario Dogliotti è il dottore che
ha ispirato Corvara, si diceva. Torinese, classe 1897, si laureò in
Medicina nel 1920 (interruppe gli studi durante la Prima Guerra
Mondiale, tra i primi ad arruolarsi come volontario, a soli 18 anni).
A leggere della sua carriera, lo appassionava soprattutto la ricerca:
nel 1933 fu tra i primi a sperimentare l'anestesia peridurale,
inventando un procedimento che porta il suo nome. Ma quello che lo
rese punto di riferimento internazionale fu il Centro di Chirurgia
Cardiaca, che fondò alle Molinette.
Qui Dogliotti sperimentò numerose
tecniche per poter operare i propri pazienti: fu tra i primi al mondo
a usare la circolazione extacorporea durante le operazioni, contribuì
a migliorare l'uso dell'ipotermia controllata e insieme ai suoi
collaboratori inventò tecniche cardiochirurgiche originali, che lo
aiutassero ad arrivare all'obiettivo, il trapianto di cuore. Doveva
essere un uomo instancabile: all'attività in camera operatoria e
alla ricerca, univa le lezioni all'Università, prima Modena e Reggio
Emilia, quindi Catania, e, infine, dal 1943, Torino. Siamo negli anni
della Seconda Guerra Mondiale, a cui Dogliotti partecipò, inviato in
Russia. Poi, poco dopo la fine del conflitto, si recò negli USA, per
un ciclo di conferenze; qui ebbe l'occasione di incontrare Alfred
Blalock, che diede una direzione alla sua passione per la medicina,
spingendolo verso la cardiochirurgia. Fu il primo a portarla in
Italia ed è suo il primo intervento in circolazione extra-corporea
totale, nel 1951.
Ma, nonostante il lavoro e relativi stress,
mantenne sempre una calorosa umanità, che lo rese piuttosto popolare
tra i suoi assistenti, i suoi pazienti e i suoi studenti. Ho anche un
ricordo familiare: mia nonna fu operata di appendicite da lui, nei
primi anni '50, e fu lui a visitarla poi in corsia, per verificare
come stesse, fermandosi a scambiare qualche sorridente battuta con
lei, che lo avrebbe poi sempre ricordato. L'umanità verso i propri
pazienti è anche il sorriso e l'interesse per il loro stato d'animo,
che il dottor Dogliotti aveva conservato, in tanti anni di
professione.
Per capire chi fosse, riporto questo breve passaggio
in suo ricordo pubblicato da
www.humanitas.it:
"Il professor Dogliotti era una persona molto curiosa ed
eclettica e i suoi interessi spaziavano in molteplici ambiti
chirurgici: dall'anestesia e rianimazione – è l'inventore
dell'anestesia peridurale – alla neurochirurgia, dalle vie
biliari all'ipertensione portale, dalla patologia e chirurgia
gastroduodenale e intestinale a quella dell'apparato vascolare,
dall'endocrinochirurgia alla chirurgia di mediastino, polmone,
esofago e rene. All'Università di Catania si occupò anche
dell'exeresi dei tumori laringei, con una statistica di venticinque
laringectomie totali di fila senza decessi, tutte eseguite prima
dell’era antibiotica. Il viaggio negli USA, tuttavia, lo condusse
verso la cardiochirugia, alla quale dedicò con passione gli ultimi
vent'anni della sua vita. Per eseguire il famoso intervento a cuore
aperto, fermò il battito cardiaco servendosi della circolazione
extracorporea, alla quale associò più avanti l'ipotermia dando
origine a una tecnica che a distanza di oltre sessant’anni è
ancora ampiamente seguita negli interventi sul cuore". Per
questo suo interesse per tutti gli aspetti della chirurgia generale è
considerato uno dei suoi ultimi veri esperti; amava sottolineare
"l'importanza della figura del chirurgo generale al fine di
mantenere un collegamento che permetta il trasfondersi di varie
conoscenze, evitando il formarsi di pericolosi compartimenti-stagno
ove si proceda all'oscuro di ciò che avviene in settori paralleli".
Non furono Achille Mario Dogliotti e la sua equipe a eseguire il
primo trapianto di cuore, lo sappiamo. A entrare nella storia per
quest'operazione, eseguita il 3 dicembre 1967, fu il chirurgo
sudafricano Christiaan Barnard. Il dottore torinese era morto più di
un anno prima, il 2 giugno 1966.
Quanto si impara della propria
città e dei suoi abitanti meravigliosi, potenti e sempre pronti a nuovi orizzonti, da una serie tv ben fatta, come
Cuori.
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