Tra gli anni '50 e '60, c'è stato un
momento in cui Torino è stata un vero e proprio polo d'attrazione
per i giovani ambiziosi interessati alle auto e alla ricerca che si
muoveva intorno a loro. Era il dopoguerra, l'Italia stava cambiando
il suo volto, trasformandosi da Paese agricolo a industriale, le
grandi emigrazioni interne stavano travolgendo Torino e le grandi
città del Nord, cambiandone per sempre volto, sangue, accenti, le
infrastrutture in costruzione stavano accorciando le distanze, le
automobili stavano diventando fenomeno di massa e Torino ne era la
capitale. Non solo la Fiat, ma anche la Lancia, i loro centri di
ricerca, le aziende che si occupavano del design delle auto. Come
resistere al richiamo di questa città ancora un po' provinciale,
protetta dalla straordinaria bellezza del suo arco alpino e meta di
migliaia di persone in cerca di nuove opportunità?
Non resistette
il giovane Tom Tjaarda, nato nel 1934 a Detroit, la Torino degli USA,
studente di architettura dell'Università del Michigan e,
soprattutto, figlio del designer
dell'auto, Joop Tjaarda, nato in Olanda e trasferitosi nella allora
capitale statunitense delle auto per seguire la propria passione; la
sua vettura più famosa fu la Lincoln Zephyr, una delle prime auto
fortemente influenzate dalla ricerca aerodinamica, negli anni 30.
Tjaarda jr arrivò in Italia nel 1958, al seguito di Luigi Segre,
direttore della Ghia, una delle più importanti aziende di design di
quel tempo. Aveva 24 anni e il primo progetto affidatogli fu la
monorotaia di Italia 61, una delle opere perdute più rimpiante di
quella stagione e di quell'area (immaginate un'azienda
contemporanea torinese dare le stesse opportunità a un 24enne appena
laureato? capite perché 60 anni fa si guardava a Torino come una delle città d'avanguardia della ricerca).
In un'intervista pubblicata nel 2010 da
Torino Click e ripresa
dal blog Città Sottile, Tom così ricordava
quel progetto: "Andai due mesi in Germania a disegnare e seguire
i lavori del treno, tra agosto e settembre del '60. Era un paese
vicino a Berlino, Salzgitter, la fabbrica si chiamava
Linke-Hofmann-Busch. Progettai l'interno e l'esterno della
cabina, che montava su un sistema di trazione che si chiamava Alweg.
La fabbrica impiegava tantissimi ingegneri aeronautici, che prima
della guerra avevano disegnato i Messerschmitt, micidiali aerei da
guerra. Quando abbiamo finito, il treno è stato portato a Torino su
tre enormi camion". Erano passati 50 anni, all'epoca
dell'intervista, e Tjaarda così commentava il suo lavoro: "Lo
stile la faceva sembrare qualcosa di futuristico, ma era un oggetto
molto 'crudo', basilare, pur essendo la migliore tecnologia per quei
tempi: viaggiava su ruote di gomma, faceva rumore e andava molto
adagio: non funzionava molto bene. Oggi i treni su monorotaia sono
tra quelli più veloci e affidabili; quelli costruiti recentemente in
Cina viaggiano a 300 km l'ora. Nel '60 era invece una tecnologia che
esordiva ed era piuttosto grezza".
Dopo quel progetto, arrivò quello
della mostra
Moda, stile e costume, con allestimento di Pininfarina, al Palavela.
Per Gabetti e Isola, che collaborarono al disegno, Tjaarda disegnò
un'enorme vela: "Dentro il Palavela ricavarono un teatro. Sopra
i posti a sedere c'era una vela composta da tanti pezzi di stoffa
cuciti insieme. Io ho disegnato e realizzato il modello in scala di
questa grande vela, tutti i pezzi uno per uno incollati insieme, poi
li ho scollati e riportati su un reticolo dal quale ricavare le
misure necessarie alla realizzazione finale. Per realizzare questa
enorme vela hanno affittato l'aeroporto di Caselle, con non so
quante donne chiamate per cucirne i pezzi. Una volta finita, la vela
è stata montata nel Palazzo; attraverso i camminamenti ricavati
sopra la volta interna molti operai, accanto a grandi pulegge,
tirarono su il telo con lunghi tiranti. Una fatica enorme, ci sono
voluti due giorni, fino all'una di notte. Sembrava di essere a
Lilliput, una marea di persone tutte intente a costruire la tenda di
Gulliver, piccoli uomini che tiravano su questa enorme e pesante
impalcatura. Avevo progettato io tutto questo, ad appena 25 anni, e
sentivo il peso della responsabilità. Fu un momento
indimenticabile".
Iniziò così il suo lavoro in Pinnfarina,
durante il quale progettò il design della Ferrari 330 GT e della 124
Sport Spider; quindi il ritorno in Ghia, passata le frattempo a De
Tomaso. Tra i modelli disegnati da Tjaarda in quegli anni, la
Deauville e, soprattutto, nel 1971, la Pantera, "probabilmente la supercar a motore centrale più venduta in assoluto, con più di 10.000 esemplari prodotti in un periodo di dieci anni" scrive Robert Cumberford su
autodesignmagazine.com. Poi, nel 1977, nella piena
maturità creativa, il passaggio all'Advanced design della FIAT, per
il quale coordinò il progetto della Y10, uno degli ultimi grandi
successi della Lancia, seguito dalla Fiat Croma e dalla Lancia Thema.
Nel 1985 si mise in proprio, fondando Dimesione Design, diventato poi
Tjaarda Design. "Occasionalmente veniva visto alla guida di una
124 Spider particolare, con la coda modificata, il cofano di diversa
fattura e i fari anteriori a palpebra: è la 124 Spider Rondine, uno
dei suoi ultimi lavori, nel quale ha voluto dare forma alla sua idea
originaria dell’auto, senza le specifiche allora imposte dalla Fiat
al progetto" scrive
Quattroruote,
in un articolo dedicato alla sua scomparsa, avvenuta nel 2017.
Una storia bella e
appassionante, questa di Tom Tjaarda, di quando Torino, grazie ai
suoi Centri di ricerca e alla cultura del design, era terra di
opportunità e dava spazio ai creativi di ogni età e di ogni
provenienza, dandosi l'opportunità di modelli prestigiosi, che la resero famosa nel mondo, come quelli del designer statunitense. "C'è stato un momento, negli anni '70, in cui le auto usate tutti i giorni da Enzo Ferrari e Sergio Pininfarina erano state disegnate da Tjaarda" scrive ancora autodesignmagazine.com.
Tornare a quella Torino, a quella mentalità aperta e
attenta, potrebbe essere un'idea di futuro.
La foto, da
wheels.iconmagazine.it; su Tom Tjaarda, in inglese,
www.tom-tjaarda.net, un sito web curato da un ammiratore tedesco, Stefan Dierke, che Tjaarda considerava come il suo sito ufficiale, collaborando ai contenuti.
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