Viviamo
tempi inquieti e concitati, che l'invasione dell'Ucraina da parte
della Russia ha ulteriormente accentuato. Ma non è solo l'Ucraina:
guerre e tragedie lontane portano in Italia tanti profughi e non dobbiamo dimenticare i giovanissimi
che arrivano da soli; secondo i dati della Direzione
Generale dell'Immigrazione del ministero del Lavoro, aggiornati al 31
dicembre 2021, sono 12.284, il 73,5% in più rispetto al 2020. A loro
si rivolge un piccolo progetto, Youth & Food – Il cibo veicolo
di inclusione, guidato da Slow Food e finanziato nell'ambito del
Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, che ha in
Torino una delle città di riferimento (l'altra è Agrigento). E mi
piace dare spazio a queste iniziative: c'è come un fil rouge in
questa città, faro del pensiero liberale e socialista, che collega la solidarietà contemporanea all'Ottocento di Giulia di Barolo a Giuseppe Cottolengo e
Giovanni Bosco.
Il progetto si rivolge a 60 giovanissimi
cittadini, arrivati dall'Africa e dal Pakistan senza alcuna
protezione, ha una durata di tre anni e intende offrire loro gli
strumenti per costruirsi un futuro professionale attraverso il cibo.
A
Torino, sedici ragazzi provenienti da Pakistan, Senegal, Maghreb e
Somalia frequenteranno una scuola per mediatori gastronomici (e già
il concetto è affascinante e anticipa le mescolanze che verranno
sulle tavole, mano a mano che i nuovi italiani si integreranno nel
nostro Paese). A ogni ragazzo è stata chiesta la ricetta del cuore,
utile anche a lavorare sulle loro conoscenze della lingua, dato che
hanno dovuto scegliere le parole giuste per descriverla in italiano.
"È stato un momento molto particolare perché la maggior parte
non mangiava il proprio piatto del cuore da quando ha lasciato il proprio Paese d'origine" commenta Stefano Di Polito, il regista che ha
fatto dell'integrazione uno dei temi principali del suo lavoro e che
collabora al progetto con la Cooperativa Meeting Service. Le cucine
in cui i ragazzi riceveranno formazione professionale sono alle
Fonderie Ozanam; sarà "un vero e proprio corso di cucina
internazionale che nasce dall'orgoglio della propria provenienza e
dalle emozioni che un cibo può suscitare" commenta il
comunicato stampa di Slow Food.
Così i giovanissimi senegalesi
hanno imparato a cucinare il thiebou dien, i pakistani si sono
dedicati al loro biryani e i maghrebini hanno scelto le varianti del
couscous. "Non appena finirà il Ramadan ricominceremo con i
corsi di cucina internazionale e italiana, accanto alle più
classiche lezioni di panetteria e pasticceria, propedeutiche a
trovare un tirocinio. I tutor sono selezionati tra giovani nati e
cresciuti in Italia ma dello stesso paese di origine dei ragazzi, che
è anche un bel modo di far vivere la Torino multietnica. E poi, una
sorpresa per chi vorrà seguirci: stiamo pensando a eventi
gastronomici e servizi innovativi, in cui i protagonisti sono gli
stessi ragazzi, per garantire la sostenibilità economica delle
attività" conclude Di Polito.
Non siete già curiosi di sapere
come proseguirà la storia di questi ragazzi e di assaggiare i piatti
dei loro Paesi?
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