La collezione d'arte del
principe Eugenio di Savoia era così splendida che un diplomatico
inglese considerava, nel 1736, che "solo le teste coronate possono
permettersela in Europa". Di non sola guerra vive un condottiero
leggendario, verrebbe da pensare, al leggere della passione per
l'arte di Eugenio, il più celebre generale del XVII e XVIII secolo,
l'uomo che salvò Vienna dall'assedio dei Turchi e che liberò Torino
dall'assedio dei Francesi.
Nato a Parigi nel 1663, dal ramo
cadetto dei Savoia-Soissons, Eugenio era nipote del cardinale
Mazarino per parte di madre, Olimpia Mancini. La morte del padre
Eugenio Maurizio, quando era ancora bambino, il sostanziale
disinteresse della madre e le difficoltà finanziarie della
famiglia avvicinarono
molto presto il giovane Eugenio alla carriera militare. Visto il
rifuto di Luigi XIV di Francia di prenderlo nel proprio esercito,
Eugenio fuggì dalla Francia alla volta della Germania e, raggiunta
Vienna, entrò a servizio dell'imperatore Leopoldo I. Lottò per tutta la vita contro Turchi e Francesi, al servizio degli Asburgo, e ottenendo in entrambi i casi vittorie decisive: sue le vittorie più importanti nelle guerre di successione spagnola e polacca, compreso l'episodio dell'assedio di Torino, suoi i successi che obbligarono l'impero ottomano a cedere i Balcani all'Austria.
Una vita da
condottiero davvero straordinaria, grazie alle abili strategie, alle
intuizioni spregiudicate e all'affetto dei suoi soldati, che lo
vedevano combattere con loro. Ancora oggi Vienna è innamorata di lui
e gli dedica periodici omaggi.
Le guerre non lo distrassero dalle
sue grandi passioni, l'arte, la cultura e l'architettura. E, grazie
alle vittorie, non gli mancò il denaro per poter soddisfare queste
sue passioni. A Vienna si fece costruire gli splendidi Palazzo del
Belvedere, una delle mete predilette dei turisti nella capitale
austriaca, e il
Winterpalais, il palazzo d'inverno; a Budapest,
sull'isola di Csepel, fece costruire la villa di Rackeve. In tutte le
sue residenze si trovavano argenterie, libri, arazzi, opere d'arte
acquistate con cura e intelligenza durante tutta una vita spesa in
giro per l'Europa. La fama di collezionista di Eugenio era diffusa in
tutta Europa e il suo interesse per l'arte era tale che non esitava a
sostenere le persone che ricorrevano alla sua esperienza: è risaputo
che fu Eugenio a consigliare buona parte degli acquisti d'arte della
Contessa Jeanne Baptiste di Verrua, che,
fuggita da Torino e dagli amori di Vittorio Amedeo II, seppe costruirsi una delle più
importanti collezioni d'arte di Parigi.
Alla morte di Eugenio,
che non lasciava eredi diretti, i suoi beni passarono alla nipote
Vittoria di Savoia Soissons. Niente affatto bella, definita anzi
proprio brutta dalle cronache del tempo, dal carattere difficile e
arcigno, in perenne difficoltà finanziarie, come da tradizioni
familiari, Vittoria aveva superato l'età da marito ed era
decisamente nubile, quando lo zio morì. Del resto quale
aristocratico si sarebbe preso una principessa brutta, antipatica e
povera, potendo avere di più e di meglio? Affamata di denaro e poco
interessata al valore culturale delle ricchezze di Eugenio, Vittoria
iniziò a disperdere il patrimonio di Eugenio, causando non poca
preoccupazione tra chi lo apprezzava.
A salvare il salvabile ci
pensarono essenzialmente l'Imperatore d'Austria e il Re di Sardegna.
Il primo si fece carico delle splendide residenze viennesi di Eugenio
e della sua incredibile biblioteca, incorporando gli oltre 15mila
libri, di inestimabile valore, nella Biblioteca di Corte; ancora oggi la biblioteca del principe è una delle sezioni più preziose della Biblioteca Nazionale
Austriaca. Il secondo, su consiglio del suo ambasciatore a Vienna,
acquistò la celebre quadreria del Palazzo del Belvedere, messa in
vendita dall'incosciente Vittoria per fare cassa e contesa anche
dall'elettore di Sassonia Augusto III e da Federico II di Prussia. I
quadri di Eugenio furono acquistati da Carlo Emanuele III per 400mila
fiorini e arrivarono a Torino nel 1741, "con un viaggio per via
d'acqua preferito per evitare scosse traumatiche alle opere e danni
alle loro cornici, riccamente intagliate e dorate" spiega Giusi
Audiberti nel libro
Il fantasma del Castello. La collezione è oggi
uno dei gioielli della Galleria Sabauda, dopo essere stata ammirata per secoli a Palazzo Reale, dagli ospiti dei sovrani.
Torino fu anche nel
destino dell'arcigna Vittoria, che, improvvisamente ricca, riuscì a
trovare altrettanto improvvisamente marito: a 52 anni, nel 1738,con
l'opposizione delle Corti torinese e viennese, sposò il principe
Giuseppe Federico di Sassonia Hidburghausen, che aveva una ventina
d'anni meno di lei. Il matrimonio fu ovviamente infelice e la coppia
si separò dopo sei anni. Ormai settantenne, Vittoria si trasferì a
Torino nel 1752 e si stabilì in via Maria Vittoria; fece vita
piuttosto ritirata e morì nel 1763. Fu sepolta dapprima nella chiesa
di San Filippo Neri e quindi nella Basilica di Superga. Al Castello
di Agliè (TO), si conserva un suo busto di cera, che la ritrae con
crudele realismo in età matura, così brutta come le cronache del
suo tempo raccontavano (potete vedere un'immagine
nel sito ufficiale del castello).
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