Dite
Emanuele Filiberto e a Torino
difficilmente si pensa all'ultimo dei Savoia, star di reality e
gossip. Qui si pensa a quello che è in fondo
il primo Savoia
italiano, anche se nato a Chambery: al duca che
portò la capitale
dalla Savoia al Piemonte, che
impose l'italiano come lingua degli
atti pubblici, che rifondò lo Stato, modernizzò l'agricoltura,
riformò l'esercito, invitò artisti e intellettuali e rispettò le
minoranze protestanti. Cosa non ha fatto Emanuele Filiberto per il
Ducato che, tre secoli dopo, diventato Regno di Sardegna, avrebbe
guidato l'Unità d'Italia?
Sottovalutato dai programmi scolastici di
Storia, qui a Torino dici Emanuele Filiberto e il pensiero corre alla
statua equestre più bella della città, al centro di Piazza San
Carlo. Realizzata da
Carlo Marochetti nel 1838, raffigura, su un alto
piedistallo di granito, il duca Emanuele Filiberto a cavallo, nell'atto di
infilare la spada nella guaina, dopo la vittoria
nella battaglia di San Quintino,
ottenuta per l'esercito spagnolo di
Felipe II, di cui era uno dei
migliori condottieri. Una vittoria che avrebbe
cambiato la storia
d'Europa (ancora oggi in spagnolo si dice "armare un San Quintino", che
ha la stessa valenza del nostro "fare un 48") e che a lui
avrebbe
restituito il perduto Ducato di Savoia, ridotto in condizioni
disastrose dalla guerra, ma almeno di nuovo in mano alla sua
dinastia.
E dovete vederlo
il volto gentile e sereno del Duca,
sotto l'elmo, mentre, ancora a cavallo, mette a riposo la spada, come
in
un programma di pace: è finita la guerra, le spade hanno parlato,
adesso è
il tempo della riconciliazione, delle intuizioni di un
sovrano, della ricostruzione dello Stato. Sarà anche per questo che
ogni festa torinese finisce in piazza San Carlo, ai piedi della
statua di Emanuele Filiberto?
Quello che pochi sanno e che a
molti turisti sfugge, è che la statua bronzea non è l'unico omaggio
che Torino ha reso al Duca che la volle capitale. L'
Armeria Reale
conserva l'
armatura con cui il sovrano è stato ritratto da
Giacomo Vighi, l'Argenta, nel celebre quadro del 1561 (è
alla
Galleria Sabauda, all'interno dello stesso complesso dei Musei
Reali). Su un cavallo debitamente bardato, un manichino indossa
l'armatura del Duca, con i pennacchi di piume rossi e bianchi.
Nel percorso museale, la segnalazione di una simile chicca non appare la più idonea, essendo affidata a un adesivo fissato sul piedistallo su cui si trova il cavaliere, ma
fateci caso, quando entrate
nella splendida Galleria del Beaumont:
il
secondo cavaliere sulla destra, accompagnato da due guerrieri anche
loro protetti dall'armatura, è il Duca Emanuele Filiberto di Savoia.
L'adesivo posto sul piedistallo, informa che l'armatura è stata
realizzata
forse dal Negroli, a cui il Duca aveva pagato l'acquisto
di
due armature nel 1561. I Negroli erano
una delle più prestigiose
famiglie specializzate nella
produzione di armature; sotto la guida
di
Giovan Paolo Negroli, lavorarono i suoi figli,
Filippo,
considerato
il più grande armiere di tutti tempi, per i suoi lavori
a sbalzo sull'acciaio, e Francesco, famoso per il talento
nell'intarsio. Tra i loro clienti, alcuni dei generali più
importanti del XVI secolo, a cominciare dall'Imperatore Carlo V. Non c'è certezza
sugli autori dell'armatura, perché, spiegano dall'Armeria Reale,
quella presente nel Museo "è sobriamente decorata con motivi di
nastri intrecciati, neri su fondi dorati, che si ritrovano in
armature lombarde dell'epoca". Secondo il sito del Ministero dei Beni Culturali, Emanuele Filiberto ha vestito
armature tedesche durante la carriera militare, ma, una volta rientrato in Italia, si è affidato
al gusto italiano e ha voluto un'armatura italiana per il primo ritratto ufficiale realizzato a Torino.
E' infatti questa l'armatura utilizzata dal Duca
per il ritratto dell'Argenta ed è quella presa a modello anche
da Carlo Marochetti, per la sua celebre
scultura in piazza San Carlo. A completare l'armatura del sovrano,
anche un brocchiere, una mazza e una spada di lama antica, ma
realizzata nell'Ottocento, già riposta nella guaina, a un lato del
cavallo. E' tempo di pace, per l'Emanuele Filiberto dell'Armeria
Reale, che merita tutto il tempo che potete dedicargli, per la
raffinatezza dei ricami sul metallo, per la pompa dei pennacchi, per
tutto quello che Torino deve alle sue intuizioni e alla sua
determinazione.
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