Dimenticate
Caroline e Stephanie di Monaco o
Maria Olympia di Grecia: se un
secolo fa ci fossero stati
tabloid e social, la reginetta sarebbe
stata lei,
Maria Letizia Bonaparte, nipote di
re Vittorio Emanuele II
d'Italia per parte materna (era suo nonno) e dell
'imperatore
Napoleone Bonaparte per parte paterna (era suo prozio). La storia
tende a tramandarci principesse e regine
morigerate e severe, dedite
alla preghiera e alla carità,
sostanzialmente infelici a causa del
sacrificio fatto nel nome della dinastia e di mariti mai all'altezza.
Così quando si ha davanti una principessa che ha vissuto, si è
divertita, ha scandalizzato, si rimane
spiazzati e divertiti.
Maria
Letizia Bonaparte è tornata d'attualità grazie
alla riapertura del Castello di Moncalieri (TO), in cui ha a lungo vissuto, prima di
morirvi, il
25 ottobre 1926. E allora scopriamola, questa
principessa
ribelle, come l'avrebbero immediatamente definita i
magazine di oggi, anche per contrapporla alla
principessa triste, che sarebbe stata sua madre,
Maria Clotilde di Savoia,
religiosa, pia e severa, sposata a quello sciupafemmine, ateo e
disincantato, di Napoleone Giuseppe, figlio di Girolamo Bonaparte.
Maria Letizia (ma lei preferiva la grafia francesizzante
Laetitia) nacque il
20 dicembre 1866 a Parigi e si divise
tra la
Parigi disinvolta dei salotti e la Torino severa della Corte sabauda
sin dai primi anni di vita. Che si sentisse
più parigina che torinese fu presto chiaro: sin da giovanissima iniziò a mostrare un
carattere
allegro e vitale, aveva un corpo
morbido e femminile e non
faceva niente per nasconderlo, anzi, amava i
vestiti sensuali, le
scollature e i gioielli che le valorizzavano. Chissà cosa dev'essere
stato per lei, quando, caduto l'Impero, la principessa Maria Clotilde
e il principe Napoleone
decisero di separarsi e le toccò seguire la madre, in Piemonte. Si
trasferirono al Castello di Moncalieri, alle porte di Torino. Maria
Clotilde riprese a dedicarsi alle
opere di carità, Maria Letizia,
nel fiore dell'adolescenza, iniziò a
guardarsi intorno. Era
una
delle principesse più effervescenti d'Europa, poteva essere ottimo
strumento per i tradizionali matrimoni dinastici e quando fu l'ora si
decise di
sposarla a Emanuele Filiberto, suo cugino ed erede del
Ducato d'Aosta. Ma
le cose andarono diversamente e se ci fossero
stati già allora i tabloid britannici o i forum dei
royal watchers,
su Internet!
Su Maria Letizia aveva messo gli occhi lo zio Amedeo,
il Duca d'Aosta in persona, che fu
re di Spagna per un paio d'anni e
che aveva mantenuto il lutto per troppo tempo, dopo aver perso
la sua Rosa di
Torino, la
principessa Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna,
bellissima e pure lei pia, caritatevole e tendente al bigotto, morta
a 29 anni di tisi; si era dedicato
all'educazione dei loro tre figli,
ancora in tenera età, Emanuele Filiberto, che sarebbe poi diventato
Duca d'Aosta (e avrebbe sposato la bella Helene d'Orleans), Vittorio
Emanuele, conte di Torino, e Luigi Amedeo, Duca degli Abruzzi. Ormai
41enne, con i figli cresciuti, per Amedeo era
l'ora di prendere di
nuovo moglie e la scelta cadde sulla
vivace e prorompente nipote
21enne. La notizia del matrimonio tra zio e nipote
non fu accolta
bene da re Umberto I, nipote del primo e cugino della seconda: non
solo i
vent'anni di differenza d'età, ma anche la
consanguineità,
in una famiglia che non brillava per ampliare gli orizzonti dei
propri matrimoni e si rivolgeva sempre alle Infante di Spagna, alle
arciduchesse d'Austria o alle principesse francesi, finendo per
sposare regolarmente cugine, possibilmente di primo grado;
soprattutto re Umberto era preoccupato per
il carattere troppo vivace
e spesso insofferente di Maria Letizia, che non amava il rigore della
corte, che guardava troppo i giovani ufficiali e che preferiva
scappare dal protocollo sulla sella dei suoi cavalli, per spensierate
cavalcate che poco si addicevano a una principessa sabauda. Ma i
fidanzati non mollarono e
matrimonio fu.
Ma durò solo un paio
d'anni, il tempo di mettere al mondo
Umberto, a cui lo zio/cugino
sovrano diede il titolo di
Conte di Salemi. Amedeo perse la vita, a
soli 45 anni, per una broncopolmonite contratta nel Portogallo, dove
era stato spedito ad assistere al funerale del nipote, re Luis II.
Vedova a 24 anni, con tutta la vita davanti, Maria Letizia non si
perse d'animo, ma non si
sposò più. Era bella, giovane e
apprezzata, brillante e colta,
reginetta dei salotti della Belle
Epoque e lasciava dietro di sé profumi di languidi ufficiali e amori
leggeri. Ci fossero stati
un Instagram o un Facebook nei primi anni
del Novecento, chissà cosa ci avrebbe raccontato.
Intorno ai 50
anni, quando qualunque donna del suo tempo avrebbe nascosto gli
specchi di casa, si innamorò di un ufficiale di
una ventina
d'anni più giovane, con cui frequentava i circuiti delle
amatissime
corse automobilistiche (una principessa del primo Novecento che segue
i Gran Premi dell'epoca con una passione che Charlene di Monaco non
sa neanche fingere, ma non è incantevole?), si dedicava alle
amate
cavalcate nella collina torinese e
non si nascondeva mai, tra il
prediletto Castello di Moncalieri e l'antica capitale sabauda.
Rimasero insieme
fino alla morte di lei, nel 1926, e fu lui,
l'ufficiale dal nome sconosciuto, a ereditare i suoi beni (il Conte
di Salemi era morto nel 1918, a soli 29 anni, colpito, come migliaia
di persone in quegli anni, dalla spagnola).
Se cercate di Maria Letizia,
troverete
aggettivi poco gentili come scapestrata, svitata,
incontrollabile, ribelle, perché una donna che vive la propria vita senza farsi incasellare e senza preoccuparsi dei pregiudizi del suo tempo è sempre pericolosa e da condannare, affinché a nessuna venga in testa di imitarla. No, Maria Letizia
non era una morigerata dama
costretta alla carità e alla preghiera dal bigottismo e
dall'ipocrisia che ha sempre accompagnato l'educazione delle
principesse di sangue reale, già solo per questo
merita tutta
l'ammirazione. Se andate a visitare il Castello di Moncalieri,
un pensiero indulgente per lei, prima
principessa ribelle del Novecento.
Le foto di Maria Letizia, dal web.
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