Non ho mai studiato
Napoleone Bonaparte, a scuola: sia alle
medie che al liceo, sono passata
dalla Rivoluzione Francese alla
Restaurazione, con Napoeone da leggere
per le vacanze, ma così, senza
impegno. Quel poco che so di lui lo devo a libri che hanno sfiorato
la sua figura (
Guerra e Pace o
La certosa di Parma), al
5 maggio di
Alessandro Manzoni e al
cinema o agli sceneggiati tv. E, la verità,
non mi ha mai affascinato, sarà perché i dittatori, anche se in
nome di
Liberté, Égalité, Fraternité, non mi hanno mai fatto
alcuna simpatia. Dunque, mi è sempre stato difficile interessarmi
alla
Torino napoleonica.
Poi, alla
Facoltà di
Architettura, ho avuto come professoressa di Storia dell'Urbanistica
Vera Comoli Mandracci e a volte
la passione con cui si insegna è più
importante della materia insegnata. La storia urbanistica di Torino è
una delle cose che ricordo meglio degli anni di Architettura e ancora
oggi mi appassiona, grazie prof, ovunque Lei sia adesso. E degli anni
napoleonici ricordo, a parte
l'abbattimento delle mura, imposto dai
nuovi dominatori, anche una cosa curiosa, andata purtroppo perduta o
mai realizzata:
le grandi piazze che salutavano l'ingresso a Torino
dalle porte principali ( mi ha sempre affascinato la
grande esedra
alberata che sorgeva al posto di piazza Vittorio Veneto, tra via Po e
il fiume).
Nel 1800,
dopo la battaglia di Marengo, Napoleone promulga
l'editto per il
disarmo delle fortezze piemontesi, Torino inclusa.
Per la città, sottolinea Vera Comoli Mandracci in
Pianificazione urbanistica e costruzione della città in periodo napoleonico a Torino, "anche se
appare implicito l'intento di avviare l
a distruzione dell'immagine
emblematica del potere assoluto sabaudo, non va sottovalutato il
fattore tattico, soprattutto a fronte della necessità contingente di
un veloce ed efficace disarmo sul territorio appena occupato".
L'abbattimento delle mura viene affidato a una
Commissione
governativa, che deve decidere sia la demolizione che il livellamento
del fossato, dovendo anche decidere come "ristabilire il recinto
chiuso e attestare il sistema stradale interno ed esterno sulle
cerniere obligate dei rondò fuori porta". La demolizione
inizia
nell'estate del 1800 e nelli
Atti della Società degli
Ingegneri e degli Architetti d Torino si legge: "A poco a poco
cadde tutta
la cinta fortificata che nel 1673 aveva tracciata Amedeo
di Castellamonte e le aggiunte fatte all'epoca dell'assedio del 1706.
Non rimasero in piedi che
la cittadella e i bastioni di S. Giovanni e
Santa Adelaide a sud, che si ridussero poi al giardino pubblico detto
dei Ripari, e quelli S. Ottavio, detto
Bastion Verde, San Lorenzo,
San Maurizio, San Carlo e parte di quello Sant'Antonio, sull'angolo
di via Barolo e della Zecca, verso notte. Dei primi due non venne
approvato lo
spianamento che con decreto del
31 marzo 1872; e per
l'apertura del prolungamento di via Venti Settembre,
nel 1891 cadde il
bastion verde,
con i vecchi edifici che sorgevano su quell'area,
compreso il torrione, sulla cui sommità eravi una vasca sulla quale
pompe idrauliche spingevano l'acqua destinata ad alimentare le
fontane del giardino reale (…) E con le mura caddero eziandio
le
quattro porte di Torino, tra le quali quella di Porta Nuova che
Amedeo di Casellamonte aveva eretta nel 1632 e quella di Po del
Guarini del 1676".
Solo a leggere
i nomi degli architetti che
avevano contribuito a costruire il sistema difensivo di Torino piange
il cuore; ma è anche vero che senza la demolizione delle mura,
Vienna oggi non avrebbe il Ring e Torino non avrebbe i grandi viali che circondano il centro (io continuo comunque a considerare
una catastrofe
l'abbattimento della Cittadella, avvenuto a fine Ottocento, visto il
profondo
significato storico e architettonico che aveva). La
demolizione delle mura fu accompagnata da
altri progetti di
abbattimento, alcuni purtroppo si realizzarono, altri, grazie agli
dèi, si persero nel finale dell'avventura napoleonica: la
Torre
Civica,
il simbolo della città, che salutava da lontano chi arrivava a Torino, alta
tra cupole e campanili della città fortificata e sormontata dal suo toro
dorato, fu abbattuta; fu abbattuta anche
la
galleria che collegava Palazzo Madama a Palazzo Reale, all'altezza
dell'attuale Armeria Reale, lasciando così il
Palazzo Madama
isolato, al centro di piazza Castello, come non è mai stato nella
sua storia (in fondo il Palazzo sorge sull'antica fortezza degli
Acaja, che, a sua volta, ha inglobato la porta romana di Augusta
Taurinorum). A causa di un incendio andò perduta anche
la loggia che
separava piazza Castello da piazzetta Reale, sostituita poi dalla
cancellata che Carlo Alberto fece costruire da Pelagio Palagi; fu
casualmente un incendio, ma in realtà l'abbattimento rientrava nei
progetti francesi.
La fine dell'epoca napoleonica evitò
l'abbattimento dello stesso
Palazzo Madama e della
Basilica di Superga, quest'ultima
da cancellare perché
simbolo della sconfitta francese del 1706, con il disastroso assedio di Torino. Gli anni
dell'Impero francese portarono però anche
nuovi piani urbanistici, alcuni
dei quali influenzarono l'immaginario cittadino, pur non arrivando a realizzarsi. Ci saranno post per parlarne e ricordarli.
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