Mezz'ora di chiacchierata, circa un mese fa, durante le ultime prove di
Gran varietà, lo
show con cui
Le Musichall ha dato il via ufficiale al proprio teatro
d'intrattenimento leggero e intelligente, come ama definirlo
Arturo
Brachetti, il suo direttore artistico. E dovevate vederlo, Arturo
Brachetti, mentre, dal buio della platea controllava che tutto
funzionasse alla perfezione: era appena arrivato da
Parigi, dove era
impegnato nelle repliche di
Solo, il suo nuovo
one man show, e
sarebbe poi tornato in Francia dopo la prima.
Gran Varietà è stato
un bel successo (l'ho visto e
ne ho parlato in questo post), adesso è
il turno di
Solo, che il
26 gennaio debutterà al Teatro Colosseo, in
anteprima nazionale (giusto riconoscimento del grande trasformista
alla sua Torino!) e vi rimarrà
fino al 4 febbraio (affrettatevi,
molte serate sono
prossime al sold out). È il
momento giusto per
raccontare
quella bella chiacchierata stretta tra le prove, in un angolo di
Etiko.
- Cosa propone
Solo al pubblico?
È un
one man show, con una sorpresa ogni 20 secondi. È una specie di
the
best of del mio lavoro, ma con l'aggiunta di tante cose nuove, di
tecniche come le manipolazioni di luci laser, disegni sulla sabbia e
una sessantina di personaggi, come nella media dei miei spettacoli,
che durano ormai 90 minuti. La gente non è capace di come dire... non regge di più; mi
hanno detto che negli USA e in Giappone sono arrivati a 1 ora e 10
minuti, la gente deve poi uscire e fare altre cose.
- Non ce la
fa più senza controllare il cellulare...
Sì, ma io li vedo che
dopo un'ora e qualcosa di spettacolo iniziano a guardare il telefono; ma tutti, anche al cinema. È tremendo.
- Solo dura
dunque 90 minuti senza intervallo
Sì, è una bella cavalcata
anche per me, è un non stop di sorprese, di effetti, con un minimo
di storia, che ruota intorno a una casetta in miniatura. Io apro le
porte e le pareti delle camere di questa casa delle bambole. Ogni
camera è un numero, è un aspetto di questa casetta, che ognuno di
noi porta metaforicamente nel cuore. Quindi c'è la stanza
dell'infanzia, quella dei ricordi, dei bisogni. Non solo,
contemporaneamente a questo, ho un rapporto con la mia ombra,
interpretata da Kevin Michael Moore, che mi scrive bigliettini
disseminati per la casetta, tutti molto razionali. Lei rappresenta la
parte razionale: io voglio volare, lei vuole rimanere attaccata al
suolo; alla fine capiamo che per sopravvivere bene dobbiamo stare
insieme, la parte che vola di fantasia e quella più razionale.
-
60 personaggi in 90 minuti: come si fa a dare loro un'anima in così
poco tempo?
È vero, durano poco e sono tutti personaggi che
raccontano altri personaggi. Per esempio, c'è un pezzo dedicato agli
eroi televisivi, in cui divento Fonzie, dottor Spock, Jessica
Fletcher, Batman, lo zio Fester. Ho dovuto scegliere personaggi
internazionali, riconoscibili in almeno 3-4 Paesi, e poi ognuno deve
avere un minimo di gag, di evocazione spiritosa, altrimenti non
funziona. È un gioco un po' schizofrenico, ma è bello perché
quando inizi a dire
wow!!, è già cambiato, questo è lo
zapping
divertente.
- Sei il trasformista più famoso d'Europa e uno dei
più famosi del mondo. Hai mai pensato di fare qualcosa di diverso,
un personaggio per tutto un film o uno spettacolo teatrale?
Ho
fatto
M. Buttefly con Ugo Tognazzi, in cui interpretavo una spia
cinese. È stato bello, anche se tutti si aspettavano che mi
cambiassi. Nel futuro mi piacerebbe fare una cosa del genere, fare
qualcosa sopra le righe, cose per rompere gli schemi e provocare delle
emozioni. Dopo aver visto
Solo mi hanno scritto su Facebook: "Tu
sei la nostra ricetta medica", quella che serve per stare
meglio, è una bella metafora. Prima di morire, sarebbe bello fare una
cosa che parli non di politica, che mi annoia, ma dell'essere umano,
della vita e della morte. La morte non è un tema che mi spaventa, certo, non mi piacerebbe soffrire, ma quando arriverà non avrò rimpianti.
- Sei
uno degli attori italiani più famosi all'estero. Ti senti
rappresentante dell'Italia all'estero?
Sì, certo! E sento molto
questa responsabilità. Anche nei talk show, mi rendo conto di essere
molto italiano, e me lo fanno notare, per come muovo tanto le mani,
gioco anche con queste nostre caratteristiche. All'estero ci vedono
come un popolo divertito e divertente, magari poco organizzato, ma
quello si sa. Tutti mi dicono
Je adore l'Italie! e adorano stare in
Italia, però se stanno più di sei mesi e iniziano a vedere
burocrazia e compagnia, scoprono il lato oscuro della medaglia. Ma il
lato divertente della vita, il mangiare bene, il divertimento, i
rapporti più calorosi, questa nostra leggerezza piacciono molto.
- E
tu cosa pensi di rappresentare dell'Italia?
Questa specie di
piccola anarchia del nostro DNA
- L'Italia vista dall'estero
com'è?
Così, un Paese di artisti, di inventori, di creatori
d'arte, finiamo di nuovo lì, di gente che sa vivere e sa divertirsi.
In alcuni momenti siamo non dico i giullari, ma lo spirito divertito
del mondo occidentale. È una bella immagine: con noi italiani sono simpatici, non mi sono mai sentito attaccato né ho mai vissuto
episodi razzistici perché italiano. C'è un occhio molto benevolo
verso di noi.
- La domanda è un po' marzulliana, ma c'è qualche
no che hai detto e di cui ti sei pentito e qualche no che avresti
dovuto dire e non hai detto?
Oddio, dovrei fare un esame di
coscienza per rispondere! Però ho notato una cosa: tutte le volte
che ho perso un'occasione nella vita o mi sono detto avrei
potuto/dovuto fare questo, alla fine, dopo anni, mi sono reso conto
che il famoso karma, o la Divina Provvidenza, ha fatto la scelta giusta, sono
soddisfatto delle cose che ho fatto e raggiunto, sono andato oltre
ogni sogno.
- Hai compiuto 60 anni il giorno della presentazione al pubblico di Le Musichall, la tua nuova avventura. È un'età in cui ci si avvicina alla pensione e si pensa
alle cose che non si sono fatte e che finalmente si possono fare.
Quali sono le tue?
Sono sempre cose legate al mondo dello
spettacolo, non mi immagino al di fuori. Una volta si parlava di
aprire una gelateria e io sì, magari poi mettiamo qualcuno che
suona, lì ci potrebbe essere uno che balla... anche se si pensa a un ristorante, io sì, ma ci mettiamo
l'animazione e poi... cavolo, si finisce sempre nello spettacolo! Il fatto è che mi piace l'intrattenimento, non mi vedo a
fare altre cose.
- Ho letto che hai iniziato a fare teatro per timidezza. L'hai
superata?
Sì, il teatro ha fatto una terapia, anno dopo anno.
Sotto sotto, molti timidi sono disperati per dire io esisto: in uno
spettacolo ti devi assumere la responsabilità di esporti, andare
davanti al pubblico. Il timido quando si esibisce è talmente carico
di voglia di esistere, che è molto più interessante di uno che per
tutto il giorno è estroverso. Il timido in un'ora è il sogno di se
stesso.
- Cioé?
Sul palcoscenico io sono il sogno di me
stesso. Sei te stesso lassù, mi chiedono? Sì, mi piacerebbe essere sempre
così, ma non lo sono.
Arturo Brachetti ha un
sito internet,
www.brachetti.com;
tutte le info su
Solo, comprese quelle sull'acquisto dei biglietti sono su
/www.teatrocolosseo.it; le
fotografie dell'articolo sono di
Paolo Ranzani. Grazie a
Silvia Bianco e alle ragazze di
La White, loro sanno perché.
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