Sin da quando era capitale dei Duchi di
Savoia, Torino ha sempre apprezzato
il teatro e i suoi spettacoli.
Una passione che si è tramandata fino ai nostri giorni e che ha
vissuto
giorni gloriosi nell'Ottocento e nel Novecento, quando la
città fu scelta anche per importanti
prime internazionali dell'opera
lirica. Con il tempo i teatri cittadini finirono con specializzarsi:
al
Teatro Regio opere e balletti, al
Carignano prosa e opera,
all'
Alfieri opera, operette, al
Balbo operette e circo. C'era davvero
modo di soddisfare tutte le declinazioni di spettacolo teatrale. Tra
i teatri più apprezzati, il
Teatro Scribe, in via Verdi.
Avete
presente l'edificio in rovina
davanti alla sede regionale della RAI e
a
pochi passi dal Museo del Cinema e dalla
Mole Antonelliana,
all'angolo tra via Verdi e via Montebello? È quello che resta del
famoso teatro torinese. Fu progettato dall'architetto
Giuseppe
Bollati, sul modello dei teatri ottocenteschi, un palco e una platea
circondati da
quattro ordini di palchi con loggione e tanti stucchi,
dorature e affreschi, secondo il gusto dell'epoca. Il suo cartellone
era in grado di
rivaleggiare con quello dei non troppo lontani Teatri
Regio e Carignano, i più importanti della città, quelli meglio
frequentati, tra buona borghesia e intellighenzia locale. Tutto finì,
però, poco dopo il
trasferimento della capitale a Firenze, quando
Torino entrò in quel declino da cui si sarebbe ripresa con
difficoltà, solo con l'avvento dell'industria, in particolare
automobilistica.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento lo Scribe
ospitava solo spettacoli per
Carnevale,
compagnie dialettali, qualche
rappresentazione di prosa. Spettacoli dignitosi, certamente, ma senza
le ambizioni delle stagioni precedenti. Dopo la Prima Guerra
Mondiale, il Teatro conobbe un nuovo periodo di gloria, grazie a
Riccardo Gualino (qui potete leggere
chi fu e perché divenne uno dei
più importanti mecenati e collezionisti d'arte d'Italia, partendo da
Torino), che lo acquistò e lo ristrutturò, chiamandolo
Teatro di
Torino. L'obiettivo era un
teatro d'avanguardia, in cui potessero
incontrarsi artisti, intellettuali, appassionati e partecipare allo
slancio innovativo voluto dal nuovo proprietario, che non badava a
spese; furono rappresentati autori come Pizzetti e Prokof'ev, Alfano
e Kódaly, che difficilmente trovavano spazio nei teatri più
tradizionali. Ci fu spazio anche per la
musica, con un'orchestra
stabile diretta da
Vittorio Gui, e per la
danza, che ebbe anche una
propria scuola. Fu un'epoca di grandi successi, grazie al mecenatismo
e alla passione di Gualino, ma, come tutte le avventure di questo
geniale imprenditore, anche questa fu destinata a una
fine prematura.
Il Teatro di Torino
chiuse nel 1930, a causa delle difficoltà
economiche del suo fondatore.
Poco dopo fu acquistato dalla
EIAR,
che sarebbe poi diventata
RAI e che lo trasformò nel suo
primo
Auditorium e nella prima sede della sua
Orchestra Sinfonica Nazionale
(attualmente l'Auditorium della RAI è a pochi metri di distanza, in
via Rossini 15). Il colpo di grazia fu la
Seconda Guerra Mondiale,
quando le
bombe degli Alleati distrussero l'edificio, lasciando in
piedi solo i muri perimetrali. È rimasto così da allora. Passate in
via Verdi, da una parte c'è la sede della RAI, dall'altra c'è la
Mole Antonelliana incombente e in mezzo c'è lui, quest'edificio in
rovina che fu glorioso teatro e che
chissà cosa potrebbe essere
oggi. Curiosità: quest'isolato perduto durante la Seconda Guerra
Mondiale, in parte utilizzato dalla RAI come proprio parcheggio
privato, è stato al centro di
uno dei miei ultimi esami prima della
laurea in Architettura,
Progettazione Architettonica; dovevamo
immaginare un futuro possibile per questi spazi vuoti lasciati dalla
guerra: ricordo quell'esame come un sollievo, potevo
finalmente laurearmi, chiudere la pagina universitaria e dedicarmi al
giornalismo.
Le immagini dal sito
www.teatrotorino.unito.it, progetto dell'Università di Torino che
ricostruisce le sei intense stagioni del Teatro di Torino, con gallerie fotografiche, bozzetti dei costumi, cartelloni, rassegna stampa; uno spaccato di vita culturale torinese degli anni 20 e 30 del Novecento.
Commenti
Posta un commento