Torino non è un'invenzione
del duca Emanuele Filiberto. Quando,
nel 1563,
il vincitore di San Quintino
trasferì la capitale del suo Ducato
da Chambéry a Torino, la
piccola cittadina ai piedi delle Alpi era sì ancora chiusa nelle sue
mura romane, ma aveva
già iniziato il suo cammino per diventare la
città più importante dello Stato. Lo aveva iniziato poco più di un
secolo prima, sotto uno dei duchi più carismatici della dinastia
sabauda,
Amedeo VIII. Salito al trono nel 1391, a soli 8 anni, seppe
muoversi abilmente nella Francia che iniziava il processo di
unità nazionale, difendendo la sua Contea sulle Alpi, cercando il
consenso dell'Imperatore alle sue mire espansionistiche, puntando a
uno sbocco sul mare attraverso la valle del Rodano. La
messa in
sicurezza dei possedimenti sabaudi iniziò con l'assorbimento di
alcune signorie, a nord, verso Ginevra, si assicurò il Genevese, a
Est, oltre le Alpi, ottenne il vassallaggio del potente Marchesato di
Saluzzo, a Torino regnava il ramo cadetto degli Acaja.
L'aspetto medievale di Palazzo Madama, fortezza degli Acaia
E
furono gli
Acaia a fare di Torino uno dei centri più importanti della pianura.
Una pianura di città ambiziose come Pinerolo e Fossano, come
Savigliano e Moncalieri, in grado di rivaleggiare con la piccola
città chiusa ancora nelle antiche mura. Ma
nel 1406 Torino venne scelta per fondare l'
Università e fu questa decisione a darle
nuova linfa, attraverso
il sapere e la cultura. Poi, il
16 dicembre
1418, 600 anni fa, nell'attuale Palazzo Madama, il
giuramento di fedeltà ad Amedeo VIII,
diventato due anni prima Duca di Savoia, il primo della sua dinastia.
Alla morte di Ludovico, infatti, gli Acaja si estinsero e la città ai piedi
delle Alpi passò al ramo principale dell'intricata famiglia sabauda.
È una delle date più importanti della storia di Torino e
probabilmente d'Italia: con l'assorbimento dei territori italiani
degli Acaja, i Savoia formarono finalmente quello
Stato unico che
Amedeo aveva perseguito sin dalla sua ascesa al trono. E il
giuramento di fedeltà di Torino
aprì loro le porte della
pianura padana e dell'Italia, con le conseguenze che conosciamo. Per
riconoscere la centralità dei territori italiani negli interessi
dinastici, Amedeo istituì un nuovo titolo, quello di
Principe di
Piemonte, assegnato al suo primogenito e da allora, fino alla caduta
della monarchia in Italia,
titolo dell'erede al trono.
Le diverse
tradizioni del nuovo Stato furono affrontate da Amedeo con un
nuovo
Codice comune, per semplificare le diverse leggi, riaffermare
l'autorità del sovrano sui suoi vassalli e sui Comuni, riorganizzare
l'amministrazione statale attraverso il Consiglio Ducale. Il Duca
confermò
la supremazia di Torino sulle altre città piemontesi
assegnandole la
sede italiana del Consiglio Ducale (a Chambéry la
sede della Savoia: il dualismo tra le due città era già iniziata); suo figlio
Ludovico, Principe di Piemonte, si inserì in questa linea pochi decenni dopo, assegnando al Castello di Torino la sede fissa del
Consiglio Cismontano, fino ad allora itinerante tra i castelli di Pinerolo, Torino e Fossano.
Amedeo continuò a muoversi
tra Francia e Italia,
mantenendo sempre
ottimi rapporti con l'Impero, per trovare
legittimazione nelle sue ambizioni espansionistiche. Una vita appassionante, la sua, in quell'epoca inquieta che fu
il passaggio
dal Trecento al Quattrocento, con i primi embrioni dei futuri Stati
nazionali. Fu
il primo Duca sabaudo a occuparsi di politica italiana,
proponendosi come mediatore tra Milano e Venezia, ridimensionando le
mire del Marchesato monferrino e cercando nuovi rapporti con il Regno
di Napoli, attraverso il matrimonio tra la figlia Margherita e Luigi
III d'Angiò, che poi non fu portato a termine. E fu
il primo a intuire
l'importanza strategica di Torino nel destino della sua dinastia.
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