Non sono stati dei grandi mariti, i
Duchi di Savoia. Si sono spesso
sposati per ragioni dinastiche più
che per scelte romantiche, sono stati
spesso lontani da Torino per
combattere le loro guerre, lasciando le mogli a governare nel loro
nome, e, quando erano nella capitale, spesso
frequentavano altri letti, generando i
conseguenti figli illegittimi,
preoccupandosi poco della pubblica umiliazione della legittima consorte. Ma
poi succede di scoprire che anche i guerrieri più audaci e i
vincitori delle battaglie più importanti per i destini dei popoli,
avevano
un cuore tenero e
in morte delle loro mogli avevano quei
gesti che avrebbero reso molte Duchesse più felici in vita.
Emanuele Filiberto di Savoia - Margherita di Valois
Per esempio, il
matrimonio di
Emanuele Filiberto e Margherita di Valois non
fu d'amore; fu un'unione politica, necessaria a
garantire
l'equilibrio sulle Alpi alle due grandi potenze del
Cinquecento, la Spagna e la Francia. Però il Duca trovò nella sua
Duchessa
la più leale complice nella realizzazione dei suoi progetti
politici; fu anche
una dei suoi consiglieri più ascoltati: fu lei a
suggerirgli
l'accordo con i Valdesi, garantendo loro una certa
libertà di culto nelle loro valli, fu lei a
convincere il nipote
Enrico III a consegnare al Ducato le piazze e le città ancora
controllate dai Francesi, come prevedeva l'
accordo di
Cateau-Cambrésis. Per il Duca, tornato dalla guerra per ricostruire
il suo Paese stanco e disfatto,
Margherita doveva essere un'oasi di
pace: intelligente, brillante, colta, con la saggezza che
l'esperienza, i libri, le conversazioni regalano alle menti più
aperte, come resistere ai suoi consigli? Ci furono altre donne e
altri figli, altri letti e altre avventure, ma indubbiamente, seppure
sua amante per poco tempo, sua moglie fu
uno dei punti fermi della
sua visione e azione politica. Non per niente,
quando nel 1574
Margherita morì, Emanuele Filiberto rimase
sconsolato: stava
accompagnando a Parigi Enrico III, il nipote di Margherita, che aveva
lasciato la Polonia per salire sul trono francese, quando,
a Lione,
ricevette una lettera della moglie, che con molta sobrietà gli
confessava di non sentirsi bene e gli comunicava che non stava bene
neanche il loro Carlo Emanuele. Il Duca,
allarmatissimo, lasciò il
corteo francese
per tornare a Torino e qui trovò il figlio in via di
guarigione e la Duchessa già morta. Per lei volle
solenni funerali e
per sé
una croce, fatta di margherite, che portava la scritta "
Chi
non potrebbe dirne lodi?" Tenero gesto d'affetto e di rispetto,
da parte di un marito che non fu mai fedele (anche se sì,
probabilmente fu a modo suo
devoto).
Carlo Emanuele I di Savoia - Catalina Micaela di Spagna
Fu
devoto, anche se non
fedele, ma del resto questa non fu mai una virtù dei sovrani, anche
il figlio di Emanuele Filiberto e di Margherita,
l'irruento Carlo Emanuele I. A 24 anni, avendo già sulle spalle il peso del suo
Ducato (perse la madre a 13 anni e il padre solo 6 anni
dopo), prese per moglie
l'Infanta Catalina Micaela di Spagna, figlia
di
Felipe II e della più amata delle sue spose,
Elisabetta di
Francia, che di Carlo Emanuele era cugina (sua madre Margherita ed
Enrico II, il padre di Elisabetta, erano fratelli). Anche il loro fu
un
matrimonio politico: il legame con la Spagna doveva essere
una
sorta di contraltare alle aspirazioni della Francia sulle Alpi. Ma
Carlo Emanuele, che aveva un
temperamento impetuoso e guerriero, non
immune, però, a
un certo sentimentalismo, si innamorò della moglie
e fece di tutto per compiacerla. Lei, che arrivava
dalla Corte più
austera d'Europa, con la
fierezza di essere la figlia del re di
Spagna, l'uomo sul cui impero non tramontava mai il sole,
seppe
adattarsi in modo intelligente alla nuova vita, divenne una preziosa
consigliera del marito e gli diede la bellezza di
dieci figli in
dodici anni di matrimonio, prima di morire, di parto (una delle
principali cause di morte delle donne per secoli, non c'era in questo
differenza tra regine e plebee), a soli 30 anni. Era il 1597 e anche
Carlo Emanuele, impegnato in una delle sue guerre, era
lontano dalla
sua Duchessa, quando lei morì. Corso a Torino,
non nascose la
disperazione, volle un
funerale solenne, occupandosi personalmente dei dettagli. Disegnò anche un
gioiello, che portò poi sempre con sé, in
cui inserì
un ritratto della moglie. "Era una specie di
medaglione chiuso, il quale aprendosi, da una parte lasciava vedere
il ritratto della principessa con questo motto,
Morte levar non la
può, Amor la impresse, e dall'altra due C intrecciate, incoronate dalla corona ducale, attorniati da S, e con sotto un nodo d'amore, ed
il motto:
Altra tomba quaggiù non può
avere/Caterina Real che il cor di Carlo" scrive
Gemma Giovannini
nel libro
Le donne di casa Savoia.
Poi il Duca diede sfogo al suo
dolore con una delle sue passioni, il
collezionismo: iniziò a
raccogliere
qualunque oggetto gli ricordasse la moglie, "si era
fatto come un
museo di coserelle che gli rammentavano tanti felici
momenti, e in questo vi figurava sino un foglietto di carta, su cui
la Duchessa aveva posato la mano, e colla penna, forse la stessa con
cui il Duca attendeva a scrivere, aveva per scherzo disegnato i loro
ritratti. Chi sa quanti ricordi erano legati, per Carlo Emanuele, a
quel pezzetto di carta! Egli vi scrisse sotto di suo pugno, in
spagnuolo, la lingua più usata da lei: "Fatto di mano della mia
signora"." Dopo aver perso Catalina, Carlo
Emanuele tardò
oltre trent'anni a risposarsi: nel 1629, ormai 67enne, sposò la sua amante di lunga data,
Margherita Roussillon, a cui aveva concesso il marchesato di
Riva di Chieri, e da cui ebbe il figlio
don Antonio di Savoia (oltre ai figli legittimi, il Duca ebbe 11 figli illegittimi).
E sempre da Gemma Giovannini, alcuni
versi scritti in morte della sua Duchessa:
Albergo ove il mio ben stette e si
piacque,
Com'or mi torna in voi il mio destino?
Il sol già si
sparì nel bel mattino,
Tu cieco io senza luce
Restiamo allo
sparir del lume amato
E così con ragione anco s'induce.
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