Il
10 agosto 1557, il duca
Emanuele
Filiberto di Savoia sbaragliava l'esercito francese nei pressi di
San
Quintino, al comando delle truppe del cugino Felipe II. Era il giorno
di
San Lorenzo e per ringraziare di quella vittoria così importante, il re spagnolo fece costruire il
monumentale complesso religioso dell'
Escorial, dedicato per l'appunto
a San Lorenzo, mentre Emanuele Filiberto promise al Santo una chiesa
nella sua capitale, che vide la luce solo alcuni decenni dopo la sua
morte, per mano dell'architetto
Guarino Guarini, e che è oggi una
delle chiese più belle di Torino. La conseguenza della vittoria di San Quintino fu il
Trattato
di Cateau-Cambresis, che, nel 1559, garantiva alla Spagna la
supremazia in Europa e permetteva al Duca sabaudo di tornare
in
possesso dei propri territori, sebbene la Francia mantenesse ancora
l'occupazione di molte città.
In questo post, però, non si parlerà né
della vittoria di San Quintino, né
della chiesa di San Lorenzo, di cui si
è già raccontato. Oggi, per celebrare quel successo del giorno di San Lorenzo di 559 anni fa, si parlerà di lui, di Emanuele Filiberto. Aveva
29 anni, quando condusse le truppe
spagnole alla vittoria, ed era già
uno dei condottieri più stimati
del suo tempo, con alle spalle una vita avventurosa che una
fiction storica potrebbe celebrare in tv.
Nato a Chambéry l'
8 luglio
1528, era il terzo figlio di Carlo II e di Beatrice del Portogallo e
il secondo maschio; l'imperatore Carlo V era suo zio per parte di
madre, re Francesco I di Francia era suo cugino. La guerra tra i due
portò via ai Savoia mezzo Ducato, invaso dai Francesi:
Carlo II dovette rifugiarsi a
Vercelli, mentre gli Svizzeri scesero a
occupare
il Vallese e il Vaud e gli spagnoli si presero
Asti. Emanuele Filiberto, visto morire il fratello maggiore Ludovico e
diventato erede al trono di un Ducato ormai inesistente, decise di
recuperarlo nel solo modo possibile: la via militare. Così, salutato
il padre,
si mise al servizio di Carlo V; ma l'imperatore
germanico non aveva molta intenzione di vedere
l'unico erede maschio dei
Savoia mettere in pericolo la propria vita e cercò di tergiversare,
fino a quando, vista la determinazione del giovanissimo nipote, cedette. Emanuele Filiberto aveva solo 18 anni e si mise subito in luce, prima nella
battaglia di Mühlberg,
quindi nella
difesa di Barcellona, contro l'attacco dei francesi. Con
l'uscita di scena di Carlo V, il giovane principe passò al
servizio del cugino Felipe II: alla morte di Carlo II, era diventato Duca di Savoia, ma il territorio continuava a essere occupato
dagli eserciti stranieri. Solo dopo il Trattato di Cateau
Cambresis, il Ducato ritrovò l'indipendenza e il suo Duca.
La pace impose a Emanuele Filiberto anche una moglie, la
principessa francese
Margherita di Valois, di qualche anno più
grande di lui, coltissima e raffinata. I Francesi vollero questo
matrimonio contando sull'età avanzata della sposa, ormai 35enne, che
avrebbe dovuto impedire la nascita di un erede, così da permettere il
futuro passaggio del Ducato senza eredi nell'orbita francese.
Con Margherita al proprio fianco, non
proprio come moglie amatissima, ma sì come
consigliera fidata, ascoltata e leale, Emanuele Filiberto iniziò la pagina più
appassionante della sua vita:
la costruzione di un Ducato che avrebbe avuto poi un ruolo essenziale nella storia italiana. La prima decisione del
giovane Duca, quella che avrebbe marcato per sempre la storia dei Savoia, fu il
trasferimento della capitale da Chambéry a Torino, ancora occupata
dai Francesi. A ribadire lo spostamento degli interessi della
dinastia in Italia, stabilì che tutti gli atti ufficiali del
Ducato fossero
redatti in italiano, dando così una mano al
consolidamento della lingua nel suo territorio e, soprattutto,
permettendo alla popolazione di comprendere il loro significato. La
riorganizzazione dello Stato passò per il
rafforzamento della Difesa
militare, con la ricostruzione dell'esercito e con la costruzione
della Cittadella di Torino; sembravano due gesti contingenti, ma
furono
le basi della forza e della lealtà dell'esercito sabaudo ai
suoi sovrani anche nei secoli successivi. La stabilità di uno Stato e del
suo esercito dipende, però, dal benessere e per questo Emanuele
Filiberto, entrato in un Paese distrutto, si occupò anche di
economia, con una
razionalizzazione dell'uso del suolo, attraverso
la
costruzione di canali e l'introduzione di nuove colture, come il
riso, diventato nel tempo parte del paesaggio del Vercellese e della
pianura; razionalizzò anche il sistema fiscale, da cui trasse le
risorse per le sue riforme. Anche l'
Amministrazione non rimase
indenne dalla sua opera riformatrice: introdusse nuovamente i Senati
di Savoia e del Piemonte, creò la Corte dei Conti, riformò leggi e
Consiglio di Stato, introdusse un sistema scolastico che portò un'alfabetizzazione elementare anche nelle campagne e che, però,
lasciò in mano della Chiesa.
Il principe guerriero, che aveva
sedotto i sovrani del suo tempo con le sue doti di condottiero, si
rivelò anche
un amministratore saggio e un sovrano illuminato. Una
delle cose che più colpiscono di lui è la
tolleranza che manifestò in tempi di aspri confronti religiosi. In questo lo aiutò molto
probabilmente l'
influenza di Margherita, che per inclinazioni
personali si interessò alle eresie e si circondò di liberi pensatori.
Applicò nel suo Stato le regole della
Controriforma di Trento, mandò tre galee
sabaude alla Battaglia di Lepanto, ma
permise ai
Valdesi di mantenere la propria religione e di praticarla nelle
proprie valli (ma non fuori), garantendo loro una s
ostanziale libertà
di culto impossibile in altri Stati italiani.
Le sue riforme, il
suo interesse per l'arte e per la cultura, la sua tolleranza, lo
resero
uno dei principi italiani di riferimento: Torquato Tasso lo
definì addirittura "il primo e più valoroso e glorioso principe
d'Italia". Quando morì, il 30 agosto 1580, il Ducato di Savoia era indipendente, godeva di un certo benessere economico, viveva una stagione
culturale raffinata.
Al Duca che l'ha resa capitale, Torino ha dedicato una delle
statue equestre più belle del nostro Paese, realizzata nel 1838 da Carlo Marocchetti; nella Galleria Sabauda, si conserva l'
imponente ritratto firmato dall'Argenta.
Peccato che le scuole italiane non rendano giustizia
a questo principe sabaudo e non gli diano lo spazio che merita, tra
i
signori del Rinascimento.
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