Era primavera, una di quelle giornate di maggio che sanno già di
estate, e per Torino iniziava la
Restaurazione. Re
Vittorio Emanuele
I faceva il suo ingresso in città, dopo la fine dell'occupazione
francese, e migliaia di torinesi lo aspettavano
incuriositi e
festanti. Il ritorno del sovrano sabaudo, il
20 maggio 1814, dopo 14
anni di esilio in Sardegna, è stato immortalato
in un quadro di Giuseppe Bagetti, conservato a Palazzo Reale e che ritrae il corteo mentre attraversa
il
primo ponte di pietra,
costruito in età napoleonica, risale la breve salita fino all'attuale via
Po: manca corso Moncalieri, si vede
la borgata del Moschino, non c'è
ancora piazza Vittorio Veneto, si intravede la grande esedra alberata
che al suo posto introduceva all'ingresso a Torino. Ma ci sono
centinaia di torinesi, affacciati ai balconi, ai lati delle strade e
dell'esedra.
Il ritorno di Vittorio Emanuele I in città è stato
raccontato da
Umberto Levra nel sesto volume della
Storia di Torino,
dedicato a
La città nel Risorgimento 1798-1864. Le misure di
sicurezza erano enormi e, visto l'atteggiamento dei torinesi,
probabilmente inutili: dietro il
triplice cordone delle guardie
urbane e delle truppe austriache, migliaia di persone aspettavano
ordinate e curiose il ritorno del loro re. Il sovrano percorse in
carrozza tutto il viaggio, poi, tra Moncalieri e Torino,
montò a
cavallo e, intorno alle 10, arrivato a Borgo Po, fu salutato dallo
Stato Maggiore degli Eserciti piemontese e austriaco. Il corteo reale
entrò a Torino accompagnato non solo dalla guardia d'onore degli
immaginabili squadroni a cavallo, ma anche da
un sorprendente e
inaspettato "numero di persone e di contadini ch'erano scesi
dalle sovrastanti colline e venuti da circonvicini paesi per essere
spettatori di questo ingresso veramente trionfale. Tutte le vie che
il Sovrano ha percorse echeggiavano talmente di applausi e di mille e
mille reiterati 'Viva Vittorio Emanuele', 'Viva il nostro Sovrano, il
nostro buon Padre', che più non si distinguevano né il rimbombo de'
concavi metalli, né il suono generale delle campane, né i tamburi
delle truppe schierate".
Che la
Restaurazione fosse
iniziata, dopo il breve periodo di riforme della Rivoluzione
Francese, si capì con il primo gesto del sovrano rientrante: una
visita in Cattedrale per assistere al
Te Deum, a cui parteciparono i
torinesi entusiasti. Poi, re Vittorio Emanuele si recò a venerare
la
Sacra Sindone e, infine, attraversò la città, tra i torinesi in
festa, per raggiungere
la Cittadella e passare in rivista le truppe.
Un triplice sparo di moschetteria, con risposta del cannone della
Cittadella, fu il saluto dei corpi militari. E finalmente Vittorio
Emanuele tornò a
Palazzo Reale, sempre accompagnato dalle
acclamazioni dei torinesi in festa. Qui fu accolto dai nobili
piemontesi, corsi a " venir deporre ai piedi del Regio Trono
l'omaggio di quella fedeltà e devozione ond'essa è animata per
l'incomparabile nostro Sovrano e per la Reale sua Famiglia".
Perché
i torinesi festeggiarono con tanto entusiasmo il ritorno di un
sovrano che
non seppe interpretare i cambiamenti che arrivavano e che li avrebbe
rigettati indietro nel tempo? Lo spiegò qualche decennio dopo
Massimo d'Azeglio, uno degli autori del nostro Risorgimento:
"Finalmente venne pure quel giorno benedetto della gran nuova,
che Napoleone non era più il nostro padrone". E, però, neanche
Vittorio Emanuele I
poteva fermare il tempo, chissà se ci pensò
quel 20 maggio 1814 al vedere
irriconoscibile la sua capitale. La
Torino che lo accoglieva era stata privata di mura, lo spazio tra la
città e il Po era una grande spianata verde: "Una città aperta
e non più rinserrata contro possibili invasori" scrive Levra.
Ed è
una bella definizione per la Torino che si preparava al
Risorgimento e, in fondo, anche per la Torino di oggi.