Prima la mostra
Il viaggio dell'eroe,alla Pinacoteca Agnelli, poi l'inaugurazione
di Or-TO, l'orto urbano di Eataly, ultimamente mi è capitato di
tornare spesso al Lingotto.
È uno degli edifici della Torino moderna a cui sono più legata
(questo il link
per leggere la sua storia): quando studiavo
Architettura era
appena stato ristrutturato ed era su tutte le
riviste specializzate, era uno di quegli edifici che non potevi non
conoscere se volevi dimostrare che l'Architettura era il tuo pane
quotidiano e la tua passione; uno dei primi servizi che mi hanno
affidato, quando ho iniziato a lavorare come giornalista, è stato
la
visita in anteprima per la stampa dell'Hotel Le Meridien, il primo albergo ospitato nel'edificio (adesso appartiene alla catena NH) ed ero
rimasta molto colpita da come le stanze fossero state
adattate al
ritmo della grande fabbrica e da come quella fabbrica, che aveva
visto costruire le automobili dello stile di vita italiano, potesse
essere anche
glamour e fascinosa; poi ci sono stati il Salone
Internazionale del Libro, i concerti e gli incontri all'Auditorium
Gianni Agnelli, un paio di conferenze stampa nella Bolla.
Ci
torno sempre volentieri, per passeggiare
tra i negozi dell'8 Gallery,
fotogafare tutte le volte il mio prediletto
giardino tropicale e,
potenza della tessera Abbonamento Musei, fare un salto
alla
Pinacoteca Agnelli e dare un'occhiata a quella che fu
la pista di
collaudo e che è uno dei luoghi più suggestivi della città. Non
per niente lo considero
la madre (o il padre?) di tutte le
ristrutturazioni degli edifici dismessi venuti nei decenni
successivi. Qualche giorno fa sono tornata nuovamente e l'ho guardato
con occhi nuovi. Avevo parlato da poco con
Guido Montanari, il
vicesindaco di Torino e Assessore all'Urbanistica, che ho
intervistato per il mio ebook,
Edifici ex industriali a Torino. Gli
avevo chiesto se il successo della riqualificazione del Lingotto avesse
influenzato gli interventi successivi e lui mi ha risposto di sì,
nel bene e nel male. Tra le cose negative ha inserito
la mancanza di
memoria. "Se un ragazzo nato negli anni 90 va all'8 Gallery, non
ha la minima idea di cosa sia stato prima quell'edificio e di quanto
sia stato importante nella storia dell'auto e della città. È una
cosa che non mi piace" mi ha detto.
Vero. Si passeggia nelle
due lunghe gallerie parallele, su cui si affacciano i negozi, ci si
ferma nei bar e nei risoranti delle piazze coperte, si guarda il
giardino tropicale e
non c'è nessuna indicazione di quello che è
stato, degli operai che lì passarono e delle auto che lì si
costruirono. Magari si può intuire
qualcosa dalla
magnifica rampa elicoidale, si può indovinare che il
ritmo severo e uguale delle grandi finestre aveva un senso preciso,
ma
non c'è niente di esplicito che ci ricordi che qui, in questi
spazi, sono nate le Topolino, le Torpedo e le
auto del boom
economico, che hanno dato libertà alle famiglie e ai giovani e sono
state simbolo del primo benessere. Una svista, una scelta? Chi lo sa:
il progetto di Renzo Piano è stato tra quelli inviati alla FIAT per
il concorso,
uno dei più rispettosi delle volumetrie esistenti; l'architetto genovese non ha toccato quasi niente dell'esterno
dell'edificio. Guardate una foto degli anni 30-50 e guardate il
Lingotto di oggi, potete riconoscere praticamente ogni finestra. Ma
se passeggiate al suo interno, non ci sono
né un piccolo Museo né
un manifesto che ricordino il passato; Montanari, che pure ha
apprezzato il progetto di Piano mi ha segnalato questa mancanza tra
le cose negative.
Non è successa la stessa cosa in quello che
può essere considerato il suo omologo dell'inizio del XXI secolo.
Allo
SNOS, l'edificio nei pressi del Parco Dora che accoglie oggi
uffici, loft e una lunga galleria commerciale, ci sono
tanti segni
del suo passato di fabbrica dei più importanti treni d'Italia. Nella
lunga volta della galleria sono stati lasciati gli
strumenti
utilizzati dagli operai, come i ponte-carri, ci sono anche
foto
d'epoca appese alle travi, che raccontano la lunga epopea operaia del
Novecento, mentre, sul pavimento, lunghe linee parallele metalliche e
una serie crescente di numeri, anch'essi in metallo,
ricordano i
treni che qui si fermavano e scaricavano le merci.
Qual è la scelta migliore? Lasciare che un edificio
riqualificato viva la sua nuova stagione, senza alcuna memoria del
suo passato, o introdurre nella sua nuova vita elementi che ricordino
il suo passato? Domande e risposte che toccano agli architetti,
quando si avvicinano a edifici
con una propria identità e una
propria storia, e che poi toccano anche noi, quando li visitiamo.
Commenti
Posta un commento