Riassumere secoli di storia dell'architettura torinese nei
nomi di
cinque architetti è difficile, ma è una di quelle sfide da
prendere o lasciare. E se si prende, può essere anche divertente. Cosa sarebbe di Torino senza
Guarino Guarini e senza
Filippo Juvarra? Non sarebbe la stessa, lo
sappiamo. E cosa sarebbe Torino senza la
Mole Antonelliana e il genio
di Alessandro Antonelli? Anche in questo caso, non sarebbe la stessa.
La difficoltà arriva quando, dopo quattro secoli, Torino non è più
capitale dei Savoia e l'architettura non è più strumento di
propaganda politica. Quali sono gli architetti più rappresentativi
degli ultimi due secoli torinesi? Ho scelto
Pietro Fenoglio, il padre
del
liberty, e
Roberto Gabetti, che con i suoi progetti e le sue
lezioni in Facoltà, ha influenzato le ultime generazioni di architetti.
Guarino Guarini
Nato a Modena nel 1624, teatino, Guarino
Guarini è l'uomo che ha disegnato
lo skyline barocco cittadino. E' stato Guarini a introdurre la
sontuosità della linea
curva, a volte persino sensuale, nell'architettura torinese. La
pianta ottagonale di
San Lorenzo, con i lati alternatamente concavi e
convessi, e la cupola con i suoi archi,
sono
uno degli esempi più belli dell'uso della curva in architettura
e della luce come simbolo della sapienza di Dio. La curva domina
anche il disegno della
Cappella della Sacra Sindone,
uno dei vertici del Barocco Europeo, con una cupola a pagoda impostata su sei grandi
finestroni ad arco, e con archetti sovrapposti, all'interno dei quali si
aprono piccole finestre. Ma è
nella sontuosa facciata di
Palazzo Carignano che Guarino Guarini
esalta tutte le potenzialità della linea curva anche
nell'architettura civile. E non solo: per la prima volta, grazie a
lui,
i mattoni hanno un'interpretazione aulica e sostituiscono marmi
e stucchi con grandiosa dignità, disegnando la facciata e il cortile
interno di quello che rimane sempre il più bel palazzo barocco
cittadino.
Filippo Juvarra
Nato a Messina nel 1678, anche
lui ecclesiastico, è l'architetto a cui Torino deve la sua
immagine
di capitale; ha inciso nel
disegno del territorio, con
le viste assiali che collegano la
chiesa
di Superga, da lui costruita, e il
Castello di Rivoli, da lui
ristrutturato; ha offerto l'immagine più raffinata e sontuosa della
dinastia sabauda, progettando per lei la splendida
Palazzina di
Caccia di Stupinigi e l'altrettanto splendida
Galleria Grande, il
vertice del suo intervento nella
Reggia di Venaria Reale. Ha
realizzato piccoli e grandi gioielli, ancora presenti
nell'immaginario cittadino più profondo: non c'è solo la chiesa di
Superga, ma anche la facciata di
Palazzo Madama, la chiesa di San Filippo Neri, la
più grande di Torino, la chiesa di Santa Cristina, in piazza San
Carlo; poi c'è un gioiellino che raccomando sempre di visitare, ogni
volta che Palazzo Reale lo apre al pubblico, con le sue visite
guidate:
la Scala delle Forbici, che collega il primo piano con gli
appartamenti di Carlo Emanuele e Anna Cristina e che testimonia il
genio architettonico e la vitalità decorativa del grande architetto
messinese. Potremmo dire che è stato il più importante architetto
di Torino, per come ha saputo influenzare il nostro immaginario in
questi ultimi 300 anni?
Alessandro Antonelli
Nato a Ghemme nel 1798, è
uno degli architetti più
ambiziosi e incompresi dell'Ottocento
italiano. Torino gli deve la
Mole Antonelliana e basterebbe lei per
inserirlo per sempre nella lista degli architetti più importanti
della storia cittadina. Di Antonelli colpisce la
grandiosità
dell'immaginazione tradotta in progetti e lo
slancio verticale delle
sue costruzioni più famose, la Mole Antonelliana, la
cupola della
Basilica di San Gaudenzio di Novara, la
Casa Scaccabarozzi (la Fetta
di Polenta, insomma), il Santuario del Crocefisso di Boca. Molti i
suoi progetti rimasti incompiuti, sia per l'arditezza delle forme che
per l'abbandono dei committenti, stremati. Rimangono le sue
architetture audaci, queste cupole che bucano il cielo con il loro
slancio verticale e per noi torinesi rimane la Mole Antonelliana, il
nostro punto di riferimento e il simbolo non solo della città, ma
dell'epoca in cui
l'uomo credeva in se stesso e nel progresso della
scienza, tanto da poter sfidare il cielo.
Pietro Fenoglio
E' il primo architetto torinese della
lista, essendo nato a Torino nel 1865. E' uno dei
massimi esponenti
del liberty e la sua architettura ha profondamente influenzato
l'immagine di Torino a cavallo dei due secoli. La sua opera più
famosa è
la Casa Fenoglio-Lafleur, in corso Francia, ma non si
possono non citare Villa Scott e le numerose palazzine e ville
costruite in
Cit Turin, il quartiere liberty per eccellenza, tra via
Principi d'Acaja, via Piffetti, via Cibrario. Porta la sua impronta
l'idea del bello e dell'elegante della Torino tra i due secoli: il
bow-window., i balconcini in ferro battuto, la leggiadria delle
decorazioni delle facciate, le vetrate colorate, l'architettura che
non tradisce il rigore della città. E non solo. Fenoglio è stato
anche un grande
architetto industriale. Nella città che si avviava
alla forte industrializzazione che avrebbe poi caratterizzato il suo
XX secolo, Fenoglio ha firmato le
Officine Grandi Motori di via Luigi
Damiano, la
Conceria Fiorio, lo stabilimento della Società Anonima
Diatto, in Borgo San Paolo. Nella lista anche il
Villaggio Leumann, a Collegno (TO), non solo una fabbrica, ma anche un'idea di società, più attenta
alla dignità dei dipendenti e dei lavoratori.
Roberto Gabetti
Nato a Torino nel 1925, è stato con il
collega
Aimaro Isola uno dei più importanti architetti italiani del
Novecento. Tra le sue opere più celebri, la
Bottega di Erasmo, la
Borsa Valori, i Tetti Blu di Rivoli, il Centro Formazione di Iveco,
l'ampliamento del Museo di Antichità. La sua è stata
un'architettura rigorosa, attenta all'
inserimento coerente negli
isolati esistenti. Avendo studiato alla Facoltà di Architettura negli anni in cui
insegnava ancora, ricordo quanto fosse
influente in Facoltà il suo
insegnamento: i suoi
laboratori multidisciplinari con Aimaro Isola, i
suoi libri, i suoi edifici hanno profondamente segnato il nostro
immaginario. Me ne sono accorta anche durante le interviste che ho
realizzato agli architetti autori delle riqualificazioni delle
architetture industriali (potete leggere i post su
Architetture ex industriali), da cui trarrò
un ebook, approfittando del materiale
che ho conservato e non inserito negli articoli. Roberto Gabetti è
stato segnalato da molti architetti come un
modello e un punto di
riferimento per il loro lavoro, avendo loro insegnato a rispettare
l'esistente e a non violentarlo con architetture estranee. Concetti
molto torinesi, in fondo e si tornerà anche su questo, nel futuro
ebook.
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