È
l'ultimo weekend di Solo, il nuovo spettacolo di
Arturo Brachetti,
al
Teatro Colosseo di Torino. Non affrettatevi: è già
tutto
esaurito e per di più in
overbooking. Ho avuto l'opportunità di
vedere lo spettacolo il 31 gennaio 2018, una sorta di regalo di
compleanno posticipato che mi ha dato
molta allegria.
Solo è
un compendio del mondo di Arturo Brachetti. C'è tutto: il
trasformismo che lo ha reso celebre nel mondo, le
ombre cinesi di cui
è maestro, l'
illusionismo da cui tutto è iniziato, condito con strumenti nuovi, come i raggi laser, il videomapping, una scenografia in movimento. Vi racconto
le cose che mi
sono piaciute:
La casa. Tutto lo spettacolo
gira intorno a una
casa, che ricostruisce la casa di Arturo bambino e che è la casa che
ognuno di noi conserva dentro di sé, perché è
quella della
memoria, dell'infanzia, degli oggetti e delle persone dimenticate nel
corso della vita. E infatti Brachetti apre una stanza di questa casa
delle bambole, vede un oggetto e riesce a farne uno spettacolo. Da un
vecchio disco di stoffa è riuscito a tirare fuori
cappelli per 27
personaggi diversi 27, dai pirati ai faraoni, dai cardinali ai
toreri, mentre il pubblico lo guardava strabiliato. E non so quanti
personaggi della televisione, della musica, delle fiabe è riuscito a
interpretare, a una velocità supersonica. Del resto
lo aveva detto:
60 personaggi in 90 minuti e
una sorpresa ogni 20 secondi.
Il
matrimonio napoletano. A un certo punto di
Solo, ci troviamo
in
piena vaudeville in salsa napoletana. Brachetti ricorda quel
matrimonio di qualche zio e si finisce a Napoli e dintorni, anche con
gli accenti di Arturo e dei suoi personaggi. Ci sono il
cuoco, che
passa i piatti alla
cameriera, ci sono gli
sposi che si affacciano
per vedere se tutto funziona, si scoprono cose che non si dovrebbero
e appaiono anche il
prete e la
madre della sposa, il tutto in un paio
di minuti e tutti i personaggi interpretati da Brachetti, che cambia
voci, espressioni e toni, in base ai personaggi. Si rimane ancora una
volta
strabiliati, non solo per la rapidità dei cambi di
costume (abituatevi. Ci sono due domande ricorrenti per i 90 minuti:
"Ma come fa?", "Ma veramente ha 60 anni o ci sta
prendendo in giro?")
Il disegno sulla sabbia. Si chiama
sand painting (non so perché in inglese), è
una delle grandi novità
di Solo ed è
il momento più suggestivo e più magico. Arturo
Brachetti in piedi in un angolo, davanti a un tavolo luminoso, mentre
su un grande schermo vengono proiettate
le sue mani, che disegnano
sulla sabbia e la usano per i chiaroscuri, per le sfumature, per le
espressioni dei volti: disegna paesaggi, se stesso, volti,
nel
silenzio del pubblico che lo guarda rapito e affascinato, come se
stesse vivendo un momento di magia. E lo è, per me lo è stato addirittura più dei momenti di
illusionismo che il torinese regala con un sorriso.
La lotta con i laser. Oltre alla casa, c'è un altro filo conduttore nello spettacolo:
l'ombra di Brachetti. Tanto lui è
fantasioso e vuole volare, tanto
la sua ombra è
razionale e con i piedi a terra. Di tanto in tanto,
durante i 90 minuti, gli lascia messaggi che sembrano un tantino
deliranti, ma invitano il trasformista
a maturare, a crescere, ad
accettare la sua età. Il 'battibecco' tra i due va avanti per tutto
lo spettacolo,
fino allo 'scontro' finale, a colpi di laser, in una
coreografia che esalta le doti di mimi di
Brachetti e di
Kevin Michael Moore, sua bravissima spalla.
Arte
antica e strumenti contemporanei che convivono e mostrano il mondo di
un artista curioso, brillante, che davvero non si fa fermare dal
tempo che passa e continua a guardare il mondo con la curiosità di
chi
non si stanca mai di imparare. Come finisce lo scontro?
Nell'unico modo possibile, ovviamente!
Il mondo di
Brachetti In poche settimane ho incontrato il mondo di Arturo
Brachetti per tre volte, assistendo a tre spettacoli:
Gran Varietà,
che ha aperto
Le Musichall, il teatro delle varietà di cui è
direttore artistico,
L'illusionista di
Luca Bono, il giovane mago che ha lavorato
spesso con lui (Brachetti è anche regista di questo
one man show), e adesso
Solo. C'è
un fil rouge comune, che potrebbe
definire
la poetica di Arturo, al di là della passione per il
travestimento e per la velocità:
la commistione delle arti e il
rifiuto di farsi definire da una sola;
la fantasia che non ha
confini, non si fa fermare e raggiunge le vette della meraviglia del
pubblico, che è poi il suo scopo finale;
l'illusionismo non solo per
la meraviglia del
come fa?, ma anche per il
fascino delle suggestioni
e un certo romanticismo che induce nello spettatore (il ballo di
Brachetti con un vestito di donna, il gioco con la luna di Bono, la danza con le note di Filiberto Selvi). Dopo aver visto
Solo, è più chiara
l'idea di teatro promossa da Le Musichall ed è evidente
l'enorme influenza che questa visione esercita nei giovani artisti cresciuti intorno a Brachetti. In tutto
c'è la magia, la capacità di affascinare e di
meravigliare, di risvegliare l'incanto dello spettatore.
Quando qualcuno dice
che non crede alle fate, una fata muore, dice Arturo Brachetti
citando l'amato
Peter Pan, in un momento dello spettacolo. Si esce
dal Teatro Colosseo
credendo alle fate, ve lo assicuro.
Le foto sono di
Paolo Ranzani.
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